Un centinaio di pazienti ogni anno in una regione come l’Emilia-Romagna potrebbero beneficiare di un trattamento tempestivo e protettivo con i farmaci immuno-oncologici, subito dopo l’intervento chirurgico, la cosiddetta terapia adiuvante. È una strategia precauzionale, in modo da giocare d’anticipo nei soggetti in stadio III e IV già operati, per prevenire la recidiva del tumore o lo sviluppo di metastasi a distanza. Uno studio ha infatti dimostrato che il 58% delle persone trattate “in anticipo” con l’immuno-oncologia è libero da recidiva a tre anni. Alle nuove prospettive nel trattamento di questa neoplasia è stato dedicato un incontro di approfondimento presso l’Hotel Internazionale di Bologna, evento promosso da Bristol-Myers Squibb. “L’immuno-oncologia, che rinforza il sistema immunitario contro il tumore, rappresenta lo standard di cura nel melanoma metastatico – ha affermato Massimo Guidoboni, dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori di Meldola. L’immuno-oncologia ha aperto un ‘nuovo mondo’ non solo in termini di efficacia e attività, ma anche di qualità di vita per la bassa tossicità e la facile maneggevolezza”.

Lo studio di fase III CheckMate -238, pubblicato sul New England, ha evidenziato gli importanti risultati del trattamento adiuvante. I melanomi in stadio III e IV rappresentano il 9% e il 4% delle diagnosi iniziali. “La differenza registrata, in Emilia-Romagna, nel numero di nuovi casi nei due sessi è da ricondurre alla diversa adesione alle regole della prevenzione – ha affermato Ignazio Stanganelli, Responsabile della Skin Cancer Unit IRST a Meldola e professore associato di dermatologia all’Università di Parma -. Le donne si proteggono di più e utilizzano le creme solari protettive quando si espongono al sole: abitudine ancora poco diffusa fra gli uomini.

Se scoperto precocemente ed eliminato con una corretta asportazione chirurgica durante la fase iniziale, il melanoma è del guaribile. L’anticipazione del trattamento in una fase precoce di malattia, oltre a fornire un enorme beneficio in termini di riduzione della progressione clinica e quindi di impatto sulla sopravvivenza globale, consente di procedere a una classificazione molecolare anticipata del paziente con melanoma offrendo, nei casi con presenza della mutazione nel gene BRAF, una doppia opzione terapeutica a disposizione del medico, da discutere con il paziente: terapia a bersaglio molecolare – con gli inibitori di BRAF e MEK – e l’immunoterapia con gli inibitori di PD-1”. “La Skin Cancer Unit costituisce il modello ideale – conclude il prof. Stanganelli – perché vi opera un team multidisciplinare. È importante anche la collaborazione con i medici di famiglia che, di fronte a una lesione sospetta, devono indirizzare i pazienti dal dermatologo”.