In medicina il cuore delle donne continua a essere poco studiato rispetto agli uomini, meno rappresentate nei principali trial clinici, ragione per cui l’universo femminile paga un tributo maggiore in termini di morbosità e prognosi infauste. Questi aspetti sono emersi in tutta la loro evidenza anche durante la pandemia da Covid-19, che ha mostrato sia durante la fase acuta dell’infezione sia nella fase cronica successiva, differenze peculiari tra uomini e donne. È partito da queste premesse il congresso medicina di genere organizzato da Arca (Associazioni regionali cardiologi ambulatoriali) a Venezia, incentrato sul rischio cardiovascolare per le donne.

 

In occasione dell’ultimo congresso dell’ American College of Cardiology, l’anno scorso, è stato presentato il documento di consenso (The Lancet Women and Cardiovascular disease Commission), che pone l’esigenza di ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile a livello globale entro il 2030, che a tutt’oggi ne rappresentano la prima causa di mortalità. Solo nel 2019 a 275 milioni di donne è stata diagnosticata una malattia cardiovascolare nel mondo, e di queste 9 milioni sono decedute per essa.

 

“Mettere al centro della discussione la medicina di genere e il rischio cardiovascolare per le donne è fondamentale, in quanto può contribuire a promuovere presso la classe medica e le pazienti maggiore attenzione agli stili di vita corretti e alla prevenzione, con controlli tempestivi. L’impegno di una azienda specializzata in cardiologia come la nostra – ha dichiarato Pasquale Bove, general manager di Adamed Italia, che ha dato il sostegno incondizionato all’assise congressuale – è quello di proporre farmaci di ultima generazione che aiutino a rendere il trattamento delle malattie cardiovascolari più efficace”.

 

In tema di medicina di genere, le diversità tra uomini e donne si sono viste anche per l’infezione da Covid-19. Nelle donne il contagio evolve più raramente in un decorso clinico severo. Uno studio condotto dalla Società Italiana dell’ Ipertensione su oltre 2.300 pazienti ricoverati in Italia ha evidenziato che tra i ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva circa 3 su 4 (74%) erano di sesso maschile.

 

Dati forniti da Italia, Cina e Corea del Sud indicherebbero una differenza di genere per quanto riguarda la perdita del gusto e dell’olfatto con un maggior coinvolgimento femminile (3 su 4) rispetto agli uomini. Le donne sembrano avere il doppio delle probabilità di sviluppare il Long COVID, ma solo fino a 60 anni, quando il divario nel rischio si appiana.