Riparare dall’interno un cuore ferito dall’infarto grazie alle cellule staminali. Questo approccio in medicina rigenerativa funziona, e riserva nuove sorprese. A mettere in luce un meccanismo d’azione inatteso delle cellule bambine è uno studio pubblicato su Nature. Le cellule staminali cardiache innescano un meccanismo di guarigione, che porta il cuore a ripararsi. La novità consiste nella scoperta di quello che c’è dietro. L’iniezione di cellule staminali cardiache nei topolini scatena, nei cuori danneggiati, un processo infiammatorio acuto, che genera una risposta simile alla guarigione di una ferita.

L’infiammazione, un processo fondamentale del corpo umano, interpretato fino a pochi anni fa come un mero meccanismo di difesa, può essere in questo senso paragonato alla macchina del tempo. Chiamata in causa nei fenomeni di invecchiamento (inflammaging) l’infiammazione, opportunamente evocata in un cuore colpito da infarto, può invertire il senso di marcia, facendo cioè ringiovanire l’organo, che viene riparato, colonizzato da cellule nuove di zecca nella sede della lesione.

Alla luce delle ultime sperimentazioni sulle staminali si intuisce un meccanismo d’azione mai sospettato prima d’ora, una cascata infiammatoria pilotata, che promuove la guarigione. Ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, Usa, hanno descritto su Nature una originale indagine su modelli animali, un protocollo che contempla l’infusione di cellule staminali per rigenerare il cuore.

Jeffery Molkentin e il suo team, autori dello studio, hanno messo a fuoco il ruolo dei macrofagi, che accorrono sul luogo dell’infiammazione per eseguire un restauro in due tempi, rimuovere tessuti ammalorati per favorire l’ingresso di nuove cellule contrattili. Un risultato analogo si può ottenere iniettando zymosan, un composto inerte che stimola il sistema immunitario, anche in assenza di staminali biologicamente attive. «Gli attuali trial clinici – ha dichiarato Molkentin – prevedono il più delle volte che le staminali siano infuse nel sangue, i nostri risultati indicano che è molto utile somministrare la terapia direttamente nel muscolo cardiaco, vicino alla regione infartuata».