Si chiamano tumori delle vie biliari e sono neoplasie del fegato che hanno origine a partire dai dotti che trasportano la bile dal fegato all’intestino. In totale sono circa cinquemila gli italiani che ogni anno ricevono una diagnosi di carcinoma delle vie biliari. In particolare il colangiorcarcinoma intraepatico (CCI) è il secondo tumore del fegato più frequente, e si manifesta in maniera subdola con perdita di peso, affaticamento e obesità. Nel 60% dei casi la diagnosi viene effettuata in fase avanzata.

Ma quanto si conoscono queste patologie? La risposta è scaturita a Milano da un panel di esperti intervenuti sul tema “Colangiocarcinoma: da tumore raro a patologia trattabile” organizzato con il contributo incondizionato di Incyte, che proprio oggi ha annunciato l’approvazione e l’esame prioritario da parte della Fda americana per pemigatinib, inibitore selettivo del recettore del fattore di crescita dei fibroblasti per il trattamento di pazienti affetti da colangiocarcinoma con espressione del recettore FGFR2. Dal punto di vista della collocazione, il cancro delle vie biliari si distingue in colangiocarcinoma intraepatico (sviluppa all’interno del fegato), colangiocarcinoma perilare, cioè all’ingresso dei dotti biliari nel fegato, e colangiocarcinoma extraepatico, origina dalle vie biliari fuori dal fegato

“Negli ultimi anni stiamo osservando nella pratica clinica un incremento delle forme intraepatiche, pari a circa il 4% annuo, in alcuni paesi europei tra cui anche l’Italia – ha affermato Giovanni Brandi, Presidente Gruppo Italiano Colangiocarcinoma (GICO). – Si tratta di un aumento reale non legato a miglioramenti della diagnostica, che comincia a interessare perfino i giovani, a partire dai 30 anni”.

Ma quali sono le ragioni di questo incremento? “Sicuramente i fattori di rischio ambientali sono cambiati negli anni. Alcuni studi realizzati dal nostro Gruppo in collaborazione con lo IARC (International Agency for Research on Cancer di Lione), dimostrano che l’amianto è associato in oltre la metà dei casi di colangiocarcinoma intraepatico con un rischio incrementale fino a 8 volte” – aggiunge Brandi.

Altri fattori di rischio sono rappresentati da patologie concomitanti del fegato: la colangite sclerosante, la litiasi biliare intraepatica, le cisti del coledoco e alcune infestazioni biliari parassitarie, l’epatite B e C e la cirrosi epatica. A questi si aggiungono l’obesità e il consumo di alcol.

Quali allora le prospettive per il futuro? Un aspetto importante per il trattamento di questi pazienti è l’individuazione di eventuali mutazioni genetiche. Negli ultimi anni, infatti, la ricerca ha permesso di individuare alcune mutazioni del DNA alla base della proliferazione incontrollata delle cellule.

“Oggi conosciamo le mutazioni geniche che guidano la crescita dei colangiocarcinomi. In particolare, circa la metà dei colangiocarcinomi intraepatici ha almeno una mutazione rilevante per la terapia in quanto costituiscono il target di farmaci a bersaglio molecolare – afferma Davide Melisi, Professore Associato di Oncologia, Università di Verona. – Le mutazioni che sono indispensabili, ormai da ricercare alla diagnosi, sono quelle del recettore del Fibroblast Growth Factor, detto anche FGFR-2 e le mutazioni di un gene che codifica per una proteina coinvolta nel metabolismo che si chiama IDH-1”.

In particolare le traslocazioni del recettore FGFR-2 sono presenti in circa il 10-16% dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico (CCI), mentre le mutazioni di IDH-1 sono presenti in circa il 20% dei CCI.

“Abbiamo assistito in un lasso di tempo molto breve a un cambiamento di paradigma nel trattamento dei pazienti affetti da questa neoplasia: da un quadro molto limitato di regime solo chemio si è passati a realizzare farmaci a bersaglio che si sono dimostrati utili nella terapia del colangiocarcinoma localmente avanzato e metastatico resistente alla chemioterapia. Stiamo inoltre testando questa classe di farmaci anche come trattamento di prima linea, ovvero come strategia subito dopo la diagnosi.” – aggiunge Melisi.

“Ancora oggi troppe persone, tra quante incorrono nel colangiocarcioma, se ne accorgono tardi, quando la malattia è ormai in fase avanzata – ha affermato Paolo Leonardi, Presidente Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma – pertanto è fondamentale diffondere informazioni che possano aiutarli a orientarsi e, nel frattempo, sostenere la ricerca e gli studi scientifici nel campo della profilazione genetica”.

Alessandro Malpelo

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