Dalla salmonellosi e la listeriosi, di cui ci si contagia attraverso cibi contaminati, alla rabbia e alla febbre del Nilo: secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’umanità deve fare i conti con 56 tipi diversi di zoonosi, responsabili di 2,5 miliardi di casi di malattie umane e di 2,7 milioni di decessi ogni anno.
A fare il punto su questa multiforme pandemia è Be Informed, l’Accademia di formazione di Boehringer Ingelheim, che ha prodotto un corso dell’Ordine del Giornalisti promosso dalla Sapienza Università di Roma in collaborazione con l’Associazione Nazionale Medici Veterinari e la Federazione Ordini Veterinari.
Le zoonosi sono malattie infettive che utilizzano come serbatoio una specie animale, e che trasmettono l’agente infettivo al genere umano, per via diretta o indirettamente. “Il 75% delle malattie umane finora conosciute – chiarisce Daniela Mulas, vicepresidente Fnovi – deriva da animali e il 60% delle malattie emergenti sono state trasmesse da animali selvatici”. A causarle non sono solo batteri e virus ma anche parassiti, come pulci, zecche e vermi che possono arrivare all’uomo da animali da compagnia e selvatici.
Tutte queste infezioni si prevengono rispettando norme di igiene e il controllo periodico della salute dell’animale da compagnia. “Fondamentale la vaccinazione, fatta dal 70% dei proprietari di animali da compagnia. Il 56% – dichiara Marco Melosi, presidente Anmvi – è attento alle protezioni antiparassitarie, da ripetere tutto l’anno, a causa dei cambiamenti climatici. Mentre le visite ordinarie sono rispettate solo dal 22%”.
Altro rischio arriva dalle produzioni alimentari: la necessità di estendere la superficie coltivabile in aree vergini aumenta i contatti tra uomo e specie selvatiche, ma anche la probabilità di spillover o salto di specie.
Per arginare questa piaga si impongono vari accorgimenti, tra questi la profilassi negli allevamenti, l’impiego razionale dei farmaci veterinari, in particolare degli antibiotici, per contrastare fenomeni di resistenza. “Il modello One Health, o la salute globale come il risultato di una stretta correlazione tra salute umana, animale e dell’ambiente – conclude Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene, all’Università del Salento – dovrà coinvolgere i cittadini, le associazioni e le Istituzioni”.
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