Quando il colesterolo cattivo supera il limite occorre stare attenti. Secondo le statistiche, un caso su cinque di arresto cardiaco è riconducibile alle arterie intasate (termine colorito, ma deve rendere l’idea) per cause imputabili al mancato controllo del colesterolo, e le coronarie in particolare sono tra le più vulnerabili. Tradotto in cifre, poco meno di 50mila decessi all’anno hanno alle spalle una storia di colesterolo trascurato, un pericolo da evitare. Ecco perché  si riaccendono ciclicamente i riflettori sulla colesterolemia, la concentrazione di colesterolo nel sangue.

“Studi clinici hanno dimostrato che abbassare il colesterolo LDL, sotto i livelli che fino a pochi anni fa si ritenevano accettabili, determina una ulteriore riduzione del rischio cardiovascolare”, ha esordito Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC) nella conferenza stampa organizzata in occasione del recente congresso di Roma. Dagli specialisti scaturisce la raccomandazione a tenere valori più bassi possibile di colesterolo LDL, sotto la soglia di 55 mg/dL nei soggetti ad alto rischio. Gli esperti avvertono: l’evento chiave di inizio dell’aterosclerosi è l’accumulo di colesterolo cattivo all’interno della parete delle arterie. E molti studi clinici hanno dimostrato che abbassare ulteriormente il colesterolo LDL (alias low density lipoprotein), sotto i livelli che fino a pochi anni fa si ritenevano accettabili, determina un effetto benefico con riduzione del rischio cardiovascolare.

Quali sono i pazienti che devono maggiormente cautelarsi? Quelli con malattia aterosclerotica cardiovascolare, quelli che già hanno avuto un infarto, portatori di stent, chi è stato già sottoposto a intervento di by-pass. Sono a rischio ictus e infarto anche i pazienti con diabete che abbiano già manifestato complicanze in altri organi, quelli affetti da ipercolesterolemia familiare o grave malattia renale cronica. Soprattutto chi ha avuto già un infarto o un ictus, ma anche i pazienti che hanno il diabete da molti anni, sono quelli che devono abbassare il colesterolo LDL a valori inferiori a 55.

“I farmaci con cui si inizia il trattamento dell’ipercolesterolemia sono di norma le statine – osserva Francesco Barillà, professore di Cardiologia alla Sapienza Università di Roma – sono molto ben tollerate e i benefici superano di gran lunga i loro pericoli”. Se le statine e l’ezetimibe faticano a ridurre i livelli di colesterolo, possono essere usati gli inibitori di Pcsk9, molto potenti, che vengono somministrati una o due volte al mese. Tali farmaci riducono i livelli di colesterolo anche nei casi in cui per varie ragioni non si riesce a raggiungere il target ottimale in altro modo. “Purtroppo – ha sottolineato Francesco Romeo, presidente della Fondazione italiana cuore e circolazione Onlus e direttore della Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma – sono oltre 15 anni che diciamo che il colesterolo si deve abbassare il più possibile ma il messaggio stenta a diffondersi”.

Pasquale Perrone Filardi, presidente eletto della Società Italiana di Cardiologia (SIC), designato a raccogliere in futuro il testimone del professor Indolfi, ha accennato da parte sua alle novità dell’industria farmaceutica, proprio per il trattamento della ipercolesterolemia, come le anticipazioni relative a nuovi farmaci che “saranno immessi nel mercato da qui ad un anno”. Un esempio per tutti è quello dell’acido bempedoico che interviene sulla biosintesi del colesterolo. Non si pone in competizione con le statine, o gli steroli vegetali, aggiungiamo noi, ma potrebbe andare in tandem con altri farmaci collaudati, incrementandone l’effetto sinergico, secondo l’indicazione del medico, rappresenta cioè un’arma in più. Le linee guida mirano a garantire che tutti i farmaci disponibili (statine, ezetimibe, inibitori del PCSK9 e via dicendo) siano utilizzati nel modo più efficace possibile per abbassare i livelli di colesterolo nei soggetti a rischio.

Esistono sono anche farmaci innovativi impiegati nel diabete che migliorano la sopravvivenza di chi soffre di malattie cardiovascolari, tanto da ridurne di un quarto gli esiti infausti. Si tratta degli inibitori di cotransporter 2 (SGLT-2) di sodio-glucosio: la ricerca ha dimostrato che sono in grado di ridurre la mortalità e i ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco. Lo studio più recente, il DAPA-HF, era stato presentato al congresso europeo di cardiologia (ESC) a Parigi. “I risultati con gli inibitori di Sglt-2 sono andati oltre ogni nostra aspettativa”, ha dichiarato il presidente Indolfi. “Si sono registrati benefici maggiori di quelli attesi, osservati sia in pazienti affetti da diabete sia in chi non ne era colpito: cercavamo un nuovo farmaco per curare meglio il diabete, una volta trovato abbiamo scoperto un nuovo trattamento per lo scompenso cardiaco”.

Alessandro Malpelo

QN IL GIORNO – il Resto del Carlino – LA NAZIONE

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