Al congresso degli specialisti della Società Italiana di Andrologia (SIA) è emerso che due uomini su dieci rinunciano ad avere rapporti sessuali per dolore fisico o per sofferenza psichica. Una rinuncia ribattezzata la sindrome del lenzuolo.

 

La famosa frase “stasera non me la sento” considerata da molti una scusa tipicamente femminile, può essere la spia di un disagio declinabile al maschile. Sono tante le cause che possono spingere un uomo a girarsi dall’altra parte e rinunciare al sesso: una frustrazione per un figlio che non arriva (infertilità sterilità), la prostata ingrossata che rende difficoltosi i rapporti, infiammazioni o infezioni delle vie urinarie, calo di potenza sessuale per cause endocrinologiche, cioè legate agli ormoni, testosterone, tiroide, asse ipotalamo ipofisario.

 

Le prostatiti rappresentano oggi una delle patologie più frequenti, in particolare, la prostatite cronica o sindrome del dolore pelvico cronico interessa il 10-15% della popolazione maschile e può insorgere negli uomini di qualunque età. “Ci sono diversi tipi di trattamento che consentono di gestire questa patologia – spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA e docente di Urologia all’Università Federico II di Napoli – come ad esempio le onde d’urto, ovvero onde acustiche ad alta intensità che si trasmettono attraverso la pelle nell’area interessata dove diminuiscono il dolore e accelerano la guarigione. Il problema, dunque, non è la mancanza di trattamenti, ma la reticenza degli uomini a chiedere aiuto al medico. Molto spesso la diagnosi arriva in ritardo, causando agli uomini più sofferenza, anche psicologica, che può essere invece evitata”.

 

Un discorso simile vale anche per la disfunzione erettile, che interessa oltre 3 milioni di uomini in Italia e l’eiaculazione precoce “A scoraggiare gli uomini è ammettere il dolore psichico causato da questi problemi – evidenzia Palmieri -. Il paziente prova imbarazzo a parlare con lo specialista. Si isola nella sua sofferenza e fa gran fatica a chiedere aiuto. Moltissimi pazienti sono giovani – spiega il presidente SIA – ma arrivano a consultare uno specialista solo dopo aver superato i 30 anni. Fondamentale una diagnosi tempestiva e precisa per aiutare il paziente nella ricerca della terapia più appropriata”.