Come accade da diversi anni, la sera del primo aprile monumenti e palazzi di tutto il mondo cambiano colore per dare rilievo alla Giornata Mondiale della consapevolezza sull’Autismo, istituita dall’Onu. Ed è uscito di recente, su questi temi, il libro autobiografico di una mamma, Simonetta Chiandetti, che narra la storia di un bel bambino che presentava caratteri di comportamento insoliti sin dai primissimi anni di vita.

La mamma teme da subito che si tratti di autismo, ma soltanto dopo i cinque anni compiuti il bambino riceverà una diagnosi corretta, permettendo così di studiare e perfezionare alcune strategie educative, come quella che il neuropsichiatra chiama col nome inglese di play therapy, terapia del gioco, che la donna istintivamente aveva sempre praticato.

Secondo la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) le politiche di indirizzo riguardanti l’autismo hanno consentito di abbassare l’età alla prima diagnosi, che in molte regioni ora si colloca a 3 anni.

La madre del libro, scrive Daniela Mariani Cerati in un testo critico di presentazione, evidenzia l’impreparazione degli specialisti contattati e l’inadeguatezza delle Istituzioni e della loro offerta di terapie, molte delle quali obsolete e inutili. Denuncia il mercato della disperazione da parte di professionisti senza scrupoli che approfittano della fragilità dei genitori per propinare a caro prezzo sedicenti terapie fantasiose, spesso dannose.

Tra i tanti incontri quello con ANGSA, associazione nazionale genitori soggetti autistici, fondamentale per sottrarsi alle lusinghe dei ciarlatani e prendere la via che, nel caso di cui parliamo, ha avuto risultati eccezionali grazie all’impegno dei genitori nel dare al figlio un’educazione compensativa dei deficit, la spinta a non mollare mai sulla socializzazione e sulla correzione dei comportamenti indesiderabili, la metodicità nel coinvolgere sempre educatori e insegnanti. La scuola ha una parte importante nel racconto e anche qui vi sono luci e ombre. Insegnanti disponibili, pazienti e disposte all’ascolto e altre poco inclini a modificare lo stile d’insegnamento, per andare incontro al problema.

La vicenda è in divenire, perché il protagonista della pubblicazione è adesso un teen ager, con una buona qualità di vita davanti, vista l’evoluzione sorprendentemente favorevole che il ragazzo ha avuto a partire dalla scuola media, scrive ancora Mariani Cerati, evoluzione dovuta in gran parte alla natura del disturbo, che evidentemente aveva in sé gli elementi per una prognosi buona. Ma alla natura hanno dato un grande aiuto i genitori prima di tutto e altre figure, insegnanti e compagni, che hanno accompagnato il ragazzo negli anni.

La mamma nell’autobiografia si definisce provocatoriamente una “madre frigorifero”, ben sapendo che questo termine negativo, concetto definitivamente abbandonato, fu coniato a metà del secolo scorso, in mancanza di riscontri scientifici sulle reali cause della genesi dei disturbi dello spettro autistico. Questo finì per caricare (ingiustamente) sulle madri un fardello, un senso di colpa per la grave condizione dei figli, l’autismo, teorizzando che la causa fosse la mancanza di amore materno. Si è visto in realtà che le mamme sono affettuose, premurose, incolpevoli. Venivano bollate senza appello, vittime di un pregiudizio crudele che la ricerca genetica ha dimostrato, poi, essere totalmente fuori luogo.

L’autistico di Schroedinger

Il racconto di una “madre frigorifero”

Prefazione di Carlo Hanau
Postfazione di Eleonora Daniele
Compagnia Editoriale Aliberti. Correggio