Un italiano su quattro ha ormai più di 65 anni, una bella fetta di popolazione (oltre 2 milioni di persone) supera gli 85 anni: siamo un popolo longevo, ma in molti casi i nostri anziani sono soggetti fragili, con ridotta autonomia. Chi si prende cura di questi pazienti, quando i problemi da gestire sono così tanti, e tutti insieme? I reparti degli ospedali sono sovraffollati, correre al pronto soccorso sarebbe eccessivo. C’è una “terra di mezzo” in grado di rispondere a bisogni tanto complessi: la continuità assistenziale: mette in comunicazione ospedale, comunità e domicilio, per prendersi cura dei pazienti anziani fragili, un percorso che non li lascia mai da soli.

È questo il tema al centro dell’indagine sulla continuità assistenziale curata per Italia Longeva da Davide Vetrano, geriatra dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ricercatore al Karolinska Institutet di Stoccolma, condotta in collaborazione con la Programmazione sanitaria del Ministero della Salute.

La rete, per funzionare bene, deve disporre di servizi di assistenza domiciliare (ADI) e residenzialità (RSA). Lo dicono i dati del Ministero che ha ricalcolato al ribasso il numero dei cittadini che hanno beneficiato di questi servizi: solo il 2% degli over-65 è stato accolto in residenze e solo 2,7 anziani su 100 hanno ricevuto cure a domicilio. “L’ADI in Italia cresce troppo lentamente, più lentamente di quanto crescano i cittadini che ne avrebbero bisogno. È evidente il ritardo in questo campo, anche rispetto agli altri Paesi europei”, spiega Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva, la Rete Nazionale di Ricerca sull’invecchiamento e la longevità attiva.

Alessandro Malpelo

QN Quotidiano Nazionale

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