Non sopporto chi parla male dei morti. Innanzitutto perché non si possono difendere da nessuna delle accuse che vengono loro mosse, poi perché credo che la morte meriti rispetto indipendentemente se uno la sia andata a cercare o meno. Ecco perché aver letto sui social network perfide battute e qualunquismi sarcastici sulla scomparsa di Whitney Houston mi ha davvero amareggiato. Nel momento in cui scrivo le cause del decesso non sono state ancora ufficialmente rivelate, ma non è un mistero che la cantante sia stata per tanto tempo tossicodipendente (per sua stessa ammissione) né che nella sua stanza di albergo sia stata trovata una gran quantità di farmaci. Detto questo, però, liquidare la vicenda scrivendo su Twitter che “era ricchissima e si drogava di brutto” perché “l’alternativa era andare a lavorare” mi sembra davvero ingiusto e di cattivo gusto, sia perché si dimenticano le sue grandi doti canore sia perché l’invidia non è un sentimento di cui andare fieri.

Whitney Houston non è che l’ultima di una lunga serie di star morte anzitempo e in circostanze non proprio chiare. Prima di lei, ad esempio, ci sono state Amy Winehouse (anche su di lei i commenti cattivi si sono sprecati), Heath Ledger, John Belushi, Jim Morrison, ma anche Marilyn Monroe. Facile dire: erano ricchi, famosi, avevano successo, cosa gli mancava per essere felici? Tutto vero, ma se per questo ci sono anche tanti giovani in buona salute e con belle famiglie alle spalle che al sabato sera o ai rave party si sballano, alle volte, fino a rimetterci la vita. La domanda è la stessa: perché lo fanno? Non esiste una risposta unica. Nel caso delle star ci possono essere la pressione del dover restare sempre sulla cresta dell’onda, del dover produrre album o film che non tradiscano le aspettative di fan e critica, lo stress di lunghe tournée, il doversi mantenere belle malgrado il tempo che passa, il non trovare più spazio perché i gusti del pubblico cambiano… O semplicemente ognuno di noi nasconde dentro di sé un lato oscuro, strani demoni che possono portarci a scelte sbagliate, a percorrere “selve oscure” dove “la diritta via è smarrita” e da cui non è detto che si riesca a uscire. La mente umana, quindi, è troppo complessa per essere liquidata con qualche stupida e facile frasetta ironica, ma forse, come dice il mio amico Thomas, “a furia di ragionare a 140 caratteri, sms e pensieri sincopati, ormai si vorrebbe liquidare una vita intera con una battuta”.

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