Una piattaforma multimediale. In diretta streaming con il cielo. Una chat con l’eterno azzurro. Una mail al mondo. Quello che sta sotto. Un profilo tracciato, di foto e disegni, un forum con chi passa di lì, un blog d’una scalata, una community di alpinisti, un tweettata di pensieri e parole, una multimedialità corporale con l’universo che accerchia. Questo è un libro di vetta. Ne avete mai visti?

Sono incunaboli di valore antico, ma precursori e simmetrie cartacee di paginate digitali. Per lo più spiegazzati e macchiati dalla fatica, anche loro si sbirciano con un clic: quello che bisogna dare alla cassettina che li contiene, abbarbicata alle croci che trovate issate sulle cime d’una montagna. Oppure pressata sotto il santo omino di pietre che troneggia sui cucuzzoli.

Dategli un’occhiata: sono agende e registri, non necessariamente incartapecoriti, che spesso foderano una biro. Apriteli: preghiere (anche laicissime), auguri, anniversari, ricordi (foscoliani) di persone scomparse, pensieri, massime (plagi dell’arcobaleno letterario, perlopiù), disegni, ritratti dal vivo, fiori e petali compressi dalle facciate, profili, storie, segreti, confessioni. Non tutti firmati, comunque quasi tutti datati. Con una traccia. Un segno di vita. Della propria, autoreferenziale, voglia di lasciare un’impronta. Un sentiero dell’esistenza. Ne ho aperti a decine, nell’andar per creste, sui monti Sibillini, il regno della maga e del Guerin Meschino nell’aorta dell’Appennino centrale, tra Marche e Umbria, quasi a lambire, per un soffio, l’Abruzzo, che comunque è lì, a far capolino coi monti Gemelli, la Laga e l’anfiteatro di ghiaccio del Calderone cui applaude il teatro del Corno Grande e del Corno Piccolo del Gran Sasso.

Penso alla piattaforma multimediale che è il libro di vetta in cima al Vettore, il tetto delle Marche (2476 metri) e dei Sibillini: mitragliato da raffiche di vento e neve, vellutato da sorprendenti stelle alpine, incoraggia all’autotestimonianza più di qualsiasi scrivania o palmare da via Condotti.

Eolo, quassù, non è un dio greco: è un demone che, guardando in faccia il pizzo del Diavolo, sputa la sua forza e i suoi conati di rabbia, tentando di spingerti giù, fino ad Arquata del Tronto. Anche sotto quel fuoco incrociato, anche appellandosi alla grazia della cima del Redentore, sperando di non essere inghiottito dalle ammaliatrici acque del lago di Pilato, l’alpinista ha lasciato i suoi segni. Il suo profilo multimediale col cielo. E il libro di vetta straripa. Di testi lunghi e accuratamente vergati, di aforismi che se non è il cervello a consigliarteli, è la saggezza acquisita nel romanzo di formazione che è l’ascesa al Vettore. Magari banalità, ma pur sempre inchiostro dell’animo. Umano.

Il soffio malefico non ha avuto pietà del ferro della croce sommitale: l’ha piegato come un fuscello. Ma la voglia di comunicare no. Quella resta. E travalica, incredibile prodigio della montagna, qualsiasi lontananza. Qualsiasi barriera. Ci lega e ci tiene a contatto. Anche a migliaia di metri sopra il mare, anche a migliaia di chilometri di distanza, anche sotto un vento che ti si vuole inghiottire. E mentre tutti salgono, fuggono e scendono, il libro di vetta se ne resta lì. Diario immobile e spalancato. Un Google di ricordi, memorie e tracce. In streaming con una realtà condivisa. Ma vera.