Inutile stare qui, a tracciare il quadretto di vita e morte di Prospero Gallinari. Se n’è andato un irriducibile, se n’è andato un osso duro della lotta armata. Ma se n’è andato pure uno degli ultimi testimoni (pur tra luci, ombre e chiaroscuri) dei casi dell’Italia repubblicana. Con lui sparisce pure la velleità di certi cronisti di domandare e chiedere. Di fare luce. Di indagare. Di metter mano nelle polveri dei segreti di Stato. Forse, e questo è innegabile, non si è detto abbastanza sulla sua scomparsa. L’ex comunista reggiano, tra le figure più controverse delle Br, muore senza seminare clamori sui taccuini. Forse perché non ha mai fatto parte di quei personaggi briganteschi e romanzeschi che costellano fiction e similari. Gallinari, e chi l’ha intervistato sa, era un irriducibile anche nell’esposizione, nel suo racconto, nel suo tener fede ai vecchi cavalli di battaglia. Le sue affermazioni andavano interpretate. Così come il suo racconto del 2006, che divenne volume, da rileggere alla luce di conoscenze interne alle Br.

La verità vera di questa morte è un’altra: s’offusca sempre più la possibilità di andare a fondo sui segreti dell’affaire Moro e, soprattutto, del Superclan, delle radici e della deriva morettiana delle Br. Perché tra gli ex, forse, su questi pilastri potrebbero illuminardci solo l’ineffabile Moretti e l’ormai dimenticato Senzani, relegati ormai solo ai sistemi informatici (il primo) e alla letteratura (il secondo). Gallinari era rimasto l’unico a parlare, Franceschini l’ha già fatto, Curcio non si sogna di farlo più. Stitiche persino le sue uscite sulla morte del compagno Prospero. Così, di quella nebulosa, resteranno solo le parabole di Patrizione Peci e le mitologie dei dietrologi. La verità s’allontana con gli irriducibili e con il passo inesorabile della storia.