«A CHI DEVO telefonare per parlare con l’Europa?». La risposta a questa domanda — attribuita all’ex segretario americano Henry Kissinger, in realtò di pura fantasia — è la chiave per capire se il voto cambierà la politica economica europea. Il numero giusto da comporre dovrebbe essere quello del prossimo presidente della Commissione Ue, ma è d’obbligo, al momento, formare il prefisso di Berlino. L’Ue continuerà a essere a trazione tedesca. Ma il secondo pistone del motore, a questo giro, non potrà che essere essere made in Italy: sia perché quello francese ha grippato a casua del fuori giri dei socialisti di Hollande, battuti in testa da Marine Le Pen. Sia per
la forte affermazione di Matteo Renzi e del Pd. Oggi il premier italiano e Angela Merkel saranno gli unici capi di governo a presentarsi da vincitori al Consiglio europeo dal quale uscirà, nei giorni a venire, il nome del successore di Barroso. Gli esiti del voto, e il trattato di Lisbona, indicano Jean-Claude Juncker, numero uno del Ppe, primo partito a Strasburgo. Ma anche Martin Schulz, capo dei socialisti, è della partita e non è escluso che la politica finisca per premiare — in una grande coalizione alla tedesca — un altro. O un’altra.
PER ESEMPIO Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario, ma anche una politica francese che appartiene all’Ump e non ai socialisti di Hollande.
In questa delicatissima partita Renzi, che si accinge anche a guidare il semestre europeo, può avere un peso determinante per molte ragioni: 1) ha stravinto le elezioni. 2) Ha fatto del Pd il partito più pesante all’interno del gruppo socialista europeo. 3) Ha mostrato di avere una forte sintonia con Berlino cercando, già prima di salire a Palazzo Chigi, un’asse con la Cancelliera Angela Merkel. Le prove abbondano: gli eurobond così poco amati dai tedeschi, non sono ritenuti così indispensabili dall’entourage del segretario se non come mezzi per sostenere investimenti e crescita più che per far scudo ai debiti. L’attenzione alla manifattura è preoccupazione di Roma come di Berlino. I cosiddetti ‘accordi contrattuali’ (aiuti in cambio di riforme) sono un’idea di Berlino che non dispiace a Roma. Il motore italo-tedesco, ha la cilindrata per cambiare verso all’Europa. Dando più forza, per esempio, anche all’unica istituzione che finora ha fatto da scudo: la Bce guidata da Mario Draghi.
Pubbilcato su Qn martedì 27 maggio 2014