Piove, a Bologna. Piovono lacrime. Piovono birre. Piovono nostalgie indefinite e struggenti. Piovono paure. Piovono dubbi. Piove umido. E, nelle nostre case, piove un bel romanzo di Grazia Verasani edito da Marsilio nella collana Farfalle: «Come la pioggia sul cellofan». Protagonista Giorgia Cantini, l’investigatrice privata che si è appena mollata con Luca Bruni, sbirro tormentato, tornato dalla moglie dopo un incidente gravissimo del figlio. Giorgia non la prende bene. Beve. Troppo (e, a mio parere, anche male…). Piange. È disperata, non pensa – giustamente – di meritarsi questo abbandono (ma sarà poi definitivo?). Giorgia si chiede «se riuscirò a sopravvivere non a questo tempo, ma a quello che ho irrimediabilmente, e nostalgicamente, alle mie spalle». Una verità assoluta, molto adatta a chi è diversamente giovane. Parole che, da sole, valgono tutto il libro.
Un momento: mi sono dimenticato di dirvi che il romanzo è un giallo. Ben costruito, con svolte calibrate, percorso da una sottile vena alla Hitchcock, inframezzato da sapienti pause. La trama è semplice, all’apparenza: Giorgia deve cercare di fermare la stalker di un nota star. Che, sia detto a mo’ di indizio per il lettore, ha qualche problemino. Beve (in confronto Giorgia è astemia), si droga, non è per niente simpatico, ma, soprattutto, non riesce più a lavorare come si deve. Accanto a lui, l’assistente e il fratello maggiore. E poi lei, la stalker. Che è già stata ammonita dalle forze di polizia a farla finita, ma che insiste. Vedrete come. E, soprattutto, perché.
Quello che, al di là della bella storia, colpisce il lettore, però, è la pittura dei personaggi e dei luoghi, tutti bolognesi doc. Della tristezza e della malinconia s’è già detto, ma, in fondo, la speranza non muore mai. E se pioggia e disperazione sono assi portanti della nuova fatica della Verasani, è altrettanto corretto, a mio parere, sottolineare come l’autrice ci guidi nel labirinto dei sentimenti con mano ferma e sicura. E con uno stile limpido, chiaro. La Verasani di oggi, insomma, nulla ha da invidiare alla ragazza esordiente di qualche anno fa. Anzi, secondo me, migliora e a definirla scrittrice di «gialli» le si fa un torto. Già nel 2016, per la fiorentina Giunti, Grazia mostrò tutta la sua capacità introspettiva, di scavo psicologico con «Lettera a Dina». Con «Come la pioggia» mostra un’ulteriore maturazione stilistica perché da una parte usa con sapiente parsimonia i trucchi del mestiere, dall’altra pennella quadri dai colori accesi (nonostante la pioggia insistente) di forza inaudita. Il messaggio che infila nella bottiglia ci pare incontestabile: non fidatevi delle apparenze. E, per favore, staccate ogni tanto gli occhi dal telefonino…

Francesco Ghidetti