Gianrico Carofiglio è scrittore sopraffino. Lo conferma la sua ultima fatica: «La versione di Fenoglio» (Einaudi, 16,50 euro). L’espressione è apodittica, me ne rendo conto. Ma è pura verità. Certo, il giudizio su Carofiglio scrittore risente anche del ruolo pubblico che egli ha e ha avuto. Dalla sua lotta alla criminalità organizzata come magistrato in prima linea in Puglia, alla sua attività politica (è stato senatore eppure anche adesso conduce una battaglia intensa), al suo successo nelle patrie lettere che ne fanno uno degli autori più letti e tradotti. Di fatto, Carofiglio ha aperto la stagione italica del ‘legal thriller’, ‘genere’ di sicuro appeal nei paesi anglosassoni, un po’ meno in quelli mediterranei. Ma guai, e qui sta l’altro elemento da sottolineare, limitare la sua produzione letteraria al poliziesco perché l’ex magistrato è scrittore a tutti gli effetti.

L’ultima volta che l’ho intervistato, pochi anni fa, è stato per «L’estate fredda», bellissimo romanzo dove il protagonista, Pietro Fenoglio (sì, il cognome non è casuale, è volutamente ‘copiato’ dal grande Beppe: l’Autore lo ha ribadito in una conferenza a Comacchio in occasione della rassegna ‘Nerolaguna’), carabiniere che tutto ha visto e tutto ha fatto, mostra quella che, con citazione dotta, si potrebbe chiamare l’assoluta banalità del male.

Ora Carofiglio torna con pagine inaspettate intitolate «La versione di Fenoglio». Siamo di fronte a un romanzo composto da più racconti, dove quel carabiniere forse un po’ troppo di sinistra e forse un po’ troppo umano racconta diversi episodi della sua vita al giovane e insicuro (all’apparenza) Giulio, ventenne. Per lui vale una riflessione acutissima di Fenoglio (si veda pagina 74). Il carabiniere ‘confessa’ a Giulio di essere stato da uno psicoterapeuta. Giulio è incredulo, forse perché ancorato a schemi mentali che non prevedono ‘dottori dell’anima’ per uno sbirro. E lì Carofiglio sbaraglia tutti (e capisci perché è tradotto in oltre trenta lingue). Sostiene Fenoglio: «Siamo tutti pessimi osservatori di noi stessi. Anzi, per essere più preciso: siamo tra i peggiori osservatori di noi stessi. Uno dei motivi per cui per cui conviene andare da un professionista è che nelle situazioni di disagio ti occorre un punto di osservazione estraneo e disinteressato su te stesso». Parole semplici per una verità assoluta.

Il lettore si chiederà perché ancora non ho accennato alla trama. Perché credo che la trama sia questione secondaria in un libro come questo. Di fatto, c’è un uomo dalle mille esperienze di vita che parla con un giovane bravo eppur spaesato dalle mille sollecitazioni dell’oggi. Ecco, questa è la trama. Ma la grandezza del libro sta proprio in questo. Una vera e propria lezione, un mettere ‘fieno in cascina’ per affrontare la vita con una qual certa sicurezza. Per questo ho parlato di ‘romanzo di tanti racconti’: Fenoglio mostra tutte le sue speranze e le sue paure e ne fa partecipe il giovane amico conosciuto in una clinica di riabilitazione. I due protagonisti fanno i loro esercizi e si raccontano le loro vite. Tutto molto normale, nulla di eccezionale: proprio qui sta uno dei punti di forza del romanzo.

Ovvio, non mancano ingredienti classici come l’immancabile figura femminile: Bruna, sensuale e affascinante dottoressa di cui Fenoglio si invaghisce con discreta eleganza. Una donna che sorprende perché lascia un finale aperto (e mi fermo qui: vi dico solo di leggere con attenzione pagina 129…).
I motivi di riflessione sarebbero molti altri. Non voglio però esagerare. Ma le storie di umanità dolente narrate sono dure e tenere al tempo stesso come nel caso dell’innocente che va in galera lo stesso e che verrà salvato dal carabiniere con le armi dell’intuizione investigativa. Oppure, quel paziente che soffre di mal di testa e che uccide per una medicina (medicina che oggi, se non sbaglio, non esiste più). Oppure il dialogo tra Fenoglio e Giulio sulla capacità di «simulazione», di esibire conoscenze sicure senza che, in realtà, esse siano tali (inciso: problema molto sentito tra noi giornalisti….). Ancora: l’odore della morte (pagina 131) che, inconfondibile, una volta sfiorato ti rimane dentro. Il senso di colpa per l’impossibilità di avere figli: «Era colpa mia», dice Fenoglio e Bruna che ribatte con un ‘colpa di che?’ di impareggiabile spessore umano e professionale.

Insomma, un romanzo da leggere. Per capire e imparare. E per gustarsi in santa pace una scrittura che definire piacevole è poco. Basta elogi. Leggete «La versione di Fenoglio» e vedrete che vi avrò dato un… ragionevole consiglio.