Breve premessa di metodo. Volete capire se vi piace un romanzo? Ci sono modi diversi. Ve ne consiglio due.

  1. La sera tornate a casa. Stanchi, furiosi, abbattuti, un po’ depressi. Vi mettete a tavola e mangiate e bevete e siete sempre più stanchi. Cominciate a leggere e, dopo un po’, non capite nulla. Lasciate il libro e vi addormentate. Se, invece, date le premesse di cui sopra, continuate a leggere vuol dire che le pagine sono belle e divertenti.
  2. Il giorno scorre dietro alle incombenze di sempre: lavoro (magari noioso e malpagato); moglie o marito che rompono con bizzarre domande (della serie: “Ti piacerebbe andare in Kenya?”); figli non ne parliamo perché disturbare il manovratore è la loro ragione di vita; il cane che deve uscire; il gatto che s’è mangiato il prosciutto incautamente lasciato sul tavolo di cucina e via dicendo. Però, in fondo all’anima un intimo piacere vi allontana dall’idea di sparire per sempre e andare a vivere in Uruguay. L’idea che quando tornerete a casa nessuno al mondo potrà impedirvi di leggere il vostro autore preferito. Aspettate con gioia quel momento. Ecco, anche in questo caso vuol dire che avete speso bene i vostri soldi.

A me accade con autori che sono quasi persone di famiglia. Fra queste, Petros Markaris, lo scrittore nato a Istanbul nel 1937, ma greco a tutto tondo, che da decenni allieta le nostre vite con le avventure del commissario Kostas Charitos. Gialli che in realtà servono, con impegnata leggerezza, a descrivere il presente. Gialli che danno l’occasione per scavare nelle psicologie dei personaggi. Gialli che insegnano un po’ di storia contemporanea. Ve ne sarete accorti: mai Markaris è avulso dalla realtà. E negli ultimi anni la sua Grecia (vorrei dire la ‘nostra’ Grecia, tanto sono innamorato di quel Paese) di storie da raccontare ne ha avute tante. Dolorose, eppure assai istruttive. Un popolo messo sotto il tallone di ferro finanziario che è riuscito, almeno in parte, a risorgere. Su questa crisi devastante che ha investito la Grecia, Markaris indaga da un bel po’ di tempo con ottimi risultati. E, tranquilli: arrivo al punto, ci riesce anche questa volta con l’ultima chicca che ci presenta La nave di Teseo: “L’omicidio è denaro”. Complimenti, per inciso, a chi ha disegnato la copertina. Bella e accattivante.

La trama corre su un doppio binario: il vecchio Lambros Zisis, militante di sinistra, che organizza un “movimento dei poveri” e un assassino (ne fa fuori tre) che rischia di seminare il panico nelle alte sfere dell’economia, ridando fiato, un fiato pestilenzale, alle peggiori pulsioni razziste ben presenti nella società greca (e non solo, ma è altro paio di maniche).

Charitos indaga – ancora una volta l’uso del presente nella narrazione si dimostra assai efficace – e il rompicapo verrà risolto, anche se con molta fatica. Il problema è che il commissario è un poliziotto e Lambros è uno di famiglia (i due, come sapete, si ‘conobbero’ ai tempi del regime dei colonnelli). E proprio in questo rapporto (Caterina, la figlia del commissario, chiama il militante comunista ‘zio’ e il nipote del commissario si chiama Lambros in suo onore…) si consuma la commedia umana raccontata da Markaris. In questo libro, notevole anche la descrizione della moglie del commissario, Adriana, che assume un ruolo centrale e inaspettato. Di più non vi dico.

Solo un’annotazione.

Molto bella la descrizione, all’inizio, del ‘funerale della sinistra’ organizzato da Lambros. Visione metaforica di un fatto reale, come vediamo tutti i giorni: in quella bara che viene portata a spalla nella prima ‘manifestazione dei poveri’ ci sono tutte le speranze, ora giunte al suicidio, di un tempo antico.

La seconda, ed è questo l’unico punto che mi ha convinto poco del romanzo, i continui riferimenti alle Sardine, il movimento, molto mediatico, molto ‘costruito’, nato in Italia. E nel romanzo eccessivamente messo in evidenza.