C’è un presepe. Meraviglioso. Che attraversa i secoli. Dal Cinquecento ai giorni (quasi) nostri. Tutti carichi di Storia, tutti secoli che vedono protagonisti famiglie nobili, importanti, potenti. Finché si arriva al febbraio del 1956.

A Roma, una Roma barocca e cupa, nevica di brutto. E c’è Er Calamaro, pescivendolo a Campo de’ Fiori, comunista, basso e brutto, strabico che ha un amico: Eugenio, Eugenio colto e affabile (almeno così appare).

Il problema è che Eugenio viene trovato morto. Meglio: orrendamente assassinato. Lui, il morto, era un maestro vetraio, ricercatissimo dagli antiquari di tutta Roma per la sua bravura.

Ma perché è stato ammazzato? Forse la limpidezza di cui si ammanta non è tale?

Fatto sta che Er Calamaro e il commissario Rainaldi (poco simpatico e democristiano tutto di un pezzo) indagano, fino a sbrogliare quella matassa che si è trascinata per secoli. Tra delitti e furti, tra amori e destini ingrati.

Ma c’è un dato da tenere a mente. E cioè che la vera protagonista è Roma, l’Eterna (splendide le pagine su Edmondo De Amicis che pennella il clima del XX settembre 1870). Una Roma senza i cieli blu cobalto. Eppure una Roma da amare. Dove l’Autore, da storico di chiara fama, si trasforma in scrittore. Riuscendo a catturare il lettore. Con indubbia maestria.

Il restauratore di vetri

Edizioni Gemma

di Bruno Tobia

227 pp, 18 euro