Non è per niente facile recensire Antonio Manzini. Lo conoscono tutti. E’ famoso. Il suo Rocco Schiavone, l’antipatico vicequestore romano mandato ad Aosta che ha un cuore grande così e un’anima tormentata e che fuma spinelli a raffica, è noto anche a chi di letteratura non ne vuol sentir parlare grazie alle fiction in tv con Marco Giallini. Che altro si può dire o scrivere di un autore in testa alle classifiche prima ancora che escano i suoi romanzi? Vorrà quindi perdonarmi il lettore se mi cimenterò in un’analisi forse banalotta dell’ultima fatica dello scrittore romano (“Ah l’amore l’amore”) sempre edita dai bravissimi ragazzi di Sellerio (collana La Memoria, 15 euro).

La trama è semplice. Muore, dopo un intervento chirurgico, Roberto Sirchia, imprenditore partito dal basso. Il grido dei parenti è “malasanità”. In ospedale avrebbero sbagliato. E sbagliato di grosso. Il problema è che, in quello stesso ospedale di Aosta, sta scontando una convalescenza di non poco conto Rocco Schiavone. Nell’ultima avventura ha perso un rene dopo una sparatoria ed è stato operato proprio dal luminare sotto accusa. Ma, vuoi la noia, vuoi la perenne insoddisfazione del vicequestore, il dubbio che non sia un caso di malasanità bensì un delitto diventa realtà. E così Schiavone, con la sua squadra (come sempre, una corte dei miracoli) indaga. Come e con quali risultati, è ovvio, me lo tengo per me.

Eppure, la forza del romanzo di Manzini sta in tutt’altra scia narrativa. Come sovente gli accade, l’Autore pennella quasi alla perfezione i vari personaggi. E, soprattutto, insiste sul tema, dilaniante e gratificante al tempo stesso, del ricordo. Non necessariamente un ricordo nostalgico. Insomma, Schiavone che dialoga con Marina, la moglie morta, diventa, tutto sommato, un aspetto sempre più sfumato, oserei dire obbligato. Molto più interessante, invece la parte finale che, dopo la conclusione del giallo vero e proprio, a colpevole scoperto, si dipana per molte pagine.
Esempi se ne potrebbero fare moltissimi. “Tutti – ragiona lo scrittore – abbiamo paura di essere abbandonati. Da un amico, dalla salute, dalla vita. Rocco temeva la fine dei rapporti. Era il motivo per cui non riusciva a chiudere le porte, i cassetti e le ante dell’armadio, neanche il tappo del dentifricio. Qualsiasi gesto, per quanto banale, che puzzasse di definitivo, gli metteva ansia”. In poche righe si capisce la differenza tra lo stare soli (scelta piacevole) e l’essere lasciati soli (imposizione terribile).

Immancabile, ed efficacissima, la descrizione della perdita (un lutto mai elaborato) delle proprie radici. Di Roma. Rocco dialoga con la moglie morta tra le vestigia romane di Aosta perché ha davanti a sé un paesaggio familiare. Rocco, dopo ogni caso risolto, si sente addosso sporcizia, cattivo odore, frustrazione. Non sa come togliersele di dosso. Mente e un “tempo, a Roma, le passeggiate per il centro riuscivano ad alleviare quel peso. Le voci, i colori notturni, anche il Tevere sporco e melmoso che tirava dritto verso il mare (…) La bellezza, quella oggettiva e insindacabile, davanti alla quale qualsiasi esteta non poteva che essere d’accordo nel definirla tale, lo aiutava, più potente di quel senso di sconfitta e di imbecillità umana che si portava dietro e che lo schiacciava; finiva per riportarlo in superficie, gli dava ristoro e consolazione”.

Dove invece Rocco pare fare un salto in avanti foriero di chissà quali sviluppi narrativi futuri è a quattro pagine alla fine. In un dialogo con la mamma della sua donna: “Le manca la sua città?”. “Una volta – risponde Rocco – sì. Ora un po’ meno”. “Le radici sono importanti”. “Quando non te le strappano, forse, ma ho imparato a convivere con l’idea che alla fine un posto decente dove spandere le ossa non c’è. Almeno per me”.

E potrei continuare all’infinito. Anche perché non manca quello che è il tema che, credo, ha suggerito il titolo del romanzo: l’amore. Meglio: gli amori. Col collega un po’ verme che ne ha troppi e si trova in una situazione da incubo. Col collega impacciato che (forse) trova un tesoro. E poi, Cecilia e Gabriele, Lupa e la bella giornalista. Che, travolta da una carica erotica dirompente, gli farà un bello scherzo…

Francesco Ghidetti