Ansia da classificazione. E’ questo uno dei virus che aggrediscono chi, di mestiere, scrive recensioni. Vieni catturato dall’affanno e ti chiedi: ma è un romanzo giallo o un drammone sentimentale? Insomma, in che categoria metto queste pagine? Poi, di solito, prevale la ragione. E tutto diventa più semplice nella serena e persino banale constatazione che un romanzo, qualunque romanzo, è bello o brutto, leggibile o illeggibile.

Introduzione doverosa per l’esordio della scozzese trapiantata a Londra Lexie Elliott, al suo esordio stampato da Piemme (bravi) intitolato “La ragazza francese”. La trama è decisamente gialla. Lei, femme fatale, giovane, sexy e, ovviamente, bellissima, scomparsa e poi ritrovata in un pozzo dieci anni dopo. Loro, sei amici un po’ nevrotici, molto inglesi, che avevano passato un’estate un po’ così in Provenza dieci anni prima. Un giorno la polizia ritrova il corpo di Severine. Un corpo cercato e ritrovato a pochi passi da dove loro, i sei, avevano trascorso le vacanze estive. Lei che è “molto, molto francese”. E l’altra lei, Kate, l’io narrante, che si ritrova protagonista di una storia in un crescendo ansiogeno.

Mi pare che la forza del romanzo vada oltre la trama e stia proprio nel racconto dei personaggi, tratteggiati, a parte alcune imperfezioni stilistiche (non si capisce perché “inclinino” sempre la testa o perché si ripeta in continuazione che Severine ha dei piedi bellissimi, ma sono peccati veniali), con penna sicura. Si pensi a Caro (donna perfida non posso dirvi perché) o a Tom e Seb, maschi inglesi insicuri, specchio di una media borghesia in carriera tutto sommato infelice e inetta, salvo i necessari colpi di scena tipici di un giallo. C’è poi l’altra protagonista femminile, Lara, libera come poche da tutti i punti di vista, punto di riferimento imprescindibile per Kate.

Ecco, Kate. Le sue paure e le sue debolezze sono tratteggiate benissimo dalla Elliott, così come la presenza silenziosa (immaginata?) di Severine, della vittima, nel corso delle indagini. Indagini condotte da un tenace poliziotto francese, elegante, non particolarmente simpatico.

Anche il contesto del romanzo mi pare azzeccato, Con la capitale londinese ben descritta con le sue generose quanto esagerate bevute di vino.

Sia chiaro: centrale resta la ricerca, da parte dei protagonisti e del lettore, del colpevole, ma soprattutto del “perché” dell’omicidio o presunto tale (non sto a dirvi il finale, ovvio).

Molto interessante anche il concatenarsi dei piani temporali. L’avanti e indietro non mostra rimpianti per una giovinezza perduta, ma, tutto sommato, sprecata o quantomeno non vissuta come poteva e doveva essere. In tal senso, l’inettitudine di alcuni protagonisti è lampante e resa assai bene.

Un romanzo, dunque, da leggere con la serena consapevolezza che, certo, ti puoi nascondere: salvo non lamentarti se il passato ti presenta il conto. Che devi pagare. Anche se poi la vita continua a scorrere senza trovare troppi semafori rossi. Magari ti accorgi, lungo la strada, che, chissà, poteva andare diversamente. E se te ne accorgi in tempo puoi rimediare a errori grandi e piccini. Basta ammettere che siano tali…