Poche chiacchiere. Quando muore il tuo scrittore preferito è un dramma. Meglio: è un dramma per il lettore accanito. Potrei cavarmela con il classico “senso di vuoto”, ma precipiterei nella retorica più bieca. Allora, per lavarmi la coscienza, ricorrerò a concetti più essenziali: se muore il mio scrittore preferito, o uno dei miei scrittori preferiti, mi viene una crisi di panico.

Così mi accadde in quel malefico 3 marzo del 1996. Allora vivevo a Roma. Una giornata magnifica. Vento di maestrale e cielo azzurro come solo Roma può regalare. Arrivai al giornale e vidi un’agenzia: ci aveva lasciati Léo Malet. Sì, proprio il nostro amico Léo, l’”inventore” di Nestor Burma. Colui che aveva elevato all’ennesima potenza il cosiddetto “hard boiled”, suprema espressione del romanzo poliziesco. Un’espressione secca, senza orpelli, dove l’azione mista al sentimento (e al sesso) domina le pagine del libro che stai leggendo. Tanto è vero ciò, che l’hard boiled puoi gustarlo in qualunque condizione: se sei stanco; se sei triste; se sei allegro; se la tua squadra del cuore ha preso due pere dal Torino ed è alla quarta sconfitta consecutiva; se la moglie ti assilla con le sue fisime; se rimpiangi una beata gioventù che mai più tornerà; se gli hai dato giù di champagne; se se se.

Tutta questa valanga introduttiva per dire che ho letto un romanzo sensazionale. L’autore è Jérôme Leroy e riscrive le avventure di Nestor Burma. E che riesce a non far rimpiangere il grande Léo. Prima di annotare poche, modeste, osservazioni (io non sono un critico letterario, ma solo un recensore di quello che mi piace leggere), mi corre l’obbligo di elogiare l’editore, cosa che, solitamente, il lettore di professione non fa. Fazi ha colpito. E ha colpito bene. I ragazzi di via Isonzo (la magica via romana dove ha sede la casa editrice) non sono nuovi a colpi a effetto, ma stavolta si sono, superati. Leroy è davvero bravo e chi ha tradotto (Federica Angelini) lo è altrettanto.

Le osservazioni cui accennavo.

La prima, stilistica. Leroy non concede nulla. Soggetto, verbo, complemento oggetto. Secco, essenziale. Come tutti gli hard boiled, tante scene d’azione. E le scene d’azione necessitano di sintesi estrema.

La seconda, sentimentale. Il nuovo Nestor è un essere umano. Con le sue paure e le sue speranze, coi suoi bruciori di stomaco, coi suoi tic. Non fa nulla per nasconderlo. Una mossa vincente perché non abbiamo bisogno d’eroi. Unica pecca, mangia sushi invece di camambert.

La terza, politica. Nestor, il nuovo Nestor 2.0, è sì un investigatore privato, ma non rinnega i suoi principi di gioventù. Odia il razzismo (cosa non scontata in questi tristi tempi sovranisti) e il suo spirito è libertario. Anche se collabora con la polizia.

La quarta, “allertante”. Capisco che la parola sia poco affascinante, ma serve a capire come il sonno della ragione possa sempre tornare. Non è fantapolitica quello che Leroy racconta. Attenti, il mostro della reazione è sempre in agguato.

La quinta, cittadina. Che Parigi sia patria urbana difficile da non amare è cosa nota. Bene, Nestor 2.0 ce la fa amare ancor di più. Col suo cielo e i suoi tetti. Come, del resto, tutta la Francia.

In poche parole, se no la faccio troppo lunga: andate in libreria, comprate (a 15 euro) questo “Terminus Nord” di Jérôme Leroy edito da Fazi e vi sentirete non dico felici, ma certamente contenti. E magari vi verrà voglia di regalarlo. Anche a coloro che sostengono di non “aver tempo per leggere”. Perché leggere è azione, unita alla riflessione. Se no, magari, arriva un vecchio nazista a…