Il giorno dopo, anzi, qualche ora dopo l’impresa contro i Pirates Amsterdam, è ancora più bello. Sarà che Bologna si è risvegliata con un caldo sole. Sarà che grazie alla Fortitudo Baseball, la città si è risvegliata, sportivamente parlando, più ricca. In bacheca è finita la sesta Coppa dei Campioni. Nessun altro club, all’ombra delle Due Torri, può vantare un curriculum internazionale così ricco.
Fortitudo Bologna campione d’Europa: il biglietto da visita che può mostrare, orgogliosa, la città. Le cinque giornate del Falchi – e del Teseo Bondi, quando due realtà “rivali” collaborano, il vantaggio, a cascata, è su tutto il territorio – regalano anche qualche turista in più all’economia di casa nostra, perché comunque, per quasi una settimana, ci sono stati olandesi di Amsterdam e di Rotterdam, francesi e cechi, belgi e tedeschi.
Bologna campione d’Europa, forse, è un segnale anche per tutte le altre realtà sportive delle Due Torri. Certo, il livello in alcune discipline (ci vengono in mente il calcio e la pallacanestro) è più alto e la concorrenza di alto spessore.
Però non possiamo dimenticare la lezione della Fortitudo. Perché questa Coppa dei Campioni, vinta nella notte dell’8 giugno, non è il frutto di un’improvvisazione cominciata cinque giorni prima.
No, la lezione della Fortitudo di Stefano Michelini e di Christian Mura, di Lele Frignani e Roberto Radaelli, di Fabio Betto e Claudio Liverziani è questa: sognare si può e si deve. A patto di avere il coraggio di mettersi in gioco, a patto di avere la forza di investire in risorse e volontari.
Anzi, forse questa coppa è figlia di una sconfitta. Quella subita due anni fa, a Regensburg, in Germania. Fase finale di Coppa dei Campioni: città bellissima, impianti ad hoc, ma organizzazione fin troppo dilettantistica. Lì, la Fortitudo di Stefano Michelini, con i suoi limiti ma anche con le sue grandi ricchezze (non tanto economiche, quanto di passione e capacità) ha capito che si poteva riportare la Coppa dei Campioni a Bologna. Il primo passo è stato quello di farlo in modo pratico: ovvero convincere la federazione internazionale che Bologna potesse essere una sede di finale ideale. Fin qui, forse, tutto facile. Il difficile è venuto dopo. Assemblare una squadra che avesse un’identità: tenere in caldo un gruppo che avrebbe avuto le attenzioni di tutta Bologna sulle spalle. Incassare la sconfitta all’esordio come se fosse la cosa più naturale (e in fondo è così) del mondo.
La Fortitudo in questi cinque giorni ha messo in campo qualcosa di apparentemente semplice ma che, in realtà, non usa quasi più nessuno. Il buon senso e poi l’incoscienza (o coraggio, fate voi) di mettersi in discussione. Per questo, dopo un inizio in salita, la Coppa dei Campioni è ancora più bella. Perché è figlia di una programmazione e della serietà di un club che dovrebbe essere preso a modello. C’è il sole, la Fortitudo è campione d’Europa. Vuoi vedere (provocazione) che in casa biancoblù hanno pure concordato le condizioni di un meteo particolarmente favorevole dopo un maggio che, almeno da queste parti, ha avuto tutto fuorché una connotazione primaverile?