Resta ancora lunga e impervia la strada da percorrere per tornare ai livelli precedenti alla grande crisi del 2008, nonostante qualche significativo segnale di ripresa: l’ennesima conferma sullo stato di salute del sistema Italia arriva dallo studio annuale di Mediobanca, che ha preso in esame i dati economici e finanziari di 2065 società tricolori di media e grande dimensione.

Nel 2016 l’insieme delle imprese ha perso un ulteriore 2 per cento di fatturato, il quarto dato consecutivo in flessione dal 2013 che porta ad un decremento complessivo del 6,4% dal 2008 ad oggi. La lettura del risultato non è tuttavia univoca: il calo delle vendite _ scrive Mediobanca _ dipende dalle imprese del settore pubblico (-9,7%) sulle quali pesa la presenza nel petrolifero (-19,5%) sotto scacco mondiale, e nell’energetico (-7,1%). Le aziende manifatturiere, perlopiù private, hanno invece registrato una crescita di quasi due punti percentuali mentre quelle del terziario si sono fermate a un +1,4 per cento.

Hanno retto le medie imprese (+1,3%), molto meglio hanno performato le grandi con un andamento positivo del 4,4%: gli investimenti sono ai livelli massimi dal 2010 con un aumento del 7,3%, malgrado il rallentamento nei gruppi maggiori, mentre sono in forte calo quelli del terziario (-13,4%) e addirittura in caduta quelli pubblici al -26,9 per cento. L’Ufficio studi di Mediobanca, che ha elaborato la ricerca, ha aggregato Fiat Chrysler alle aziende italiane e il contributo dell’azienda italo americana è stato decisivo per riportare in positivo alcuni indici: i fatturati dei gruppi maggiori (+4,4%) scenderebbero a -4,4% senza Fca, l’export (sempre dei gruppi maggiori) passerebbe dal +3% al -5,7 per cento.

Il raffronto con l’economia pre-crisi rimane, in ogni caso, deludente: se cantano vittori i settori di pelli e cuoio (+34,2% rispetto al 2008), specialità alimentari (sopra il 20%), auto (+21,5), farmaceutico (+13,2) , utilities (+27,7) e grandi contractor di opere pubbliche (+27,5), possono solo curarsi le ferite la metallurgia (-25,1%), gli elettrodomestici (-28,8%), l’impiantistica (-30%), i prodotti per l’edilizia (-39,2), l’editoria (-42) e il petrolifero (-42,2 per cento). E così se i dati generali raccontano di un tasso di disoccupazione quasi doppio o di una retribuzione media scesa più o meno di 2,500 euro a poco più di 26 mila euro, anche i margini industriali delle imprese sono inferiori del 15,9% per cento e la redditività si attesta lontanissima dai livelli pre-crisi: nei gruppi maggiori è scesa dall’11,% al 6,2 per cento. La vocazione tutta italiana della multinazionale tascabile, della media impresa dinamica e produttiva, porta comunque a un sorriso: ha retto meglio la crisi, ha investito di più delle grandi aziende (escludendo Fca) e, in controtendenza, ha registrato come forza lavoro un incremento del 3% che adesso fa ben sperare.