Vale una piccola fortuna a piazza Affari il no al referendum del 4 dicembre, che ribalta le previsioni di esperti compiacenti e istituzioni finanziarie: “Nel mercato si vota ogni giorno, alla cassa” disse Milton Friedman. Così dalla prima seduta dopo le urne, il listino delle quaranta società italiane più capitalizzate ha recuperato 13,6 punti percentuali, dimezzando il ribasso dell’anno. E ora si interroga su di un 2017 difficile da decifrare.

Nonostante il colpo di coda dell’ultimo mese, non c’è da star allegri: il Ftse Mib ha chiuso il 2016 a 19.234 punti con una flessione pari al 10,2 per cento. È fra i quattro indici in coda alla classifica mondiale e il più deludente in Europa, con l’eccezione della Borsa portoghese. Ma poteva andar ancora peggio, nel decennio perduto del mercato finanziario italiano crollato dai 44 mila punti del 2007: nel complesso la capitalizzazione di piazza Affari è all’incirca del 26% di un Pil in ogni caso modesto, da paragonare al 127% degli Stati Uniti, al 73% della Francia oppure al 50% della Germania. Che oltretutto crescono più di noi e archiviano l’anno scorso con risultati record per Wall Street (Dow Jones +13,7%) e performance non deludenti per Francoforte (+6,8%) e Parigi (+4,8%). Londra sembra per ora snobbare la Brexit e chiude con l’aumento del 14,4% nel controvalore in sterline (svalutate) ma in perdita dell’1,3% in euro.

L’Italia è sprofondata con l’uragano sulle banche, asfissiate da dieci anni di crisi, errori e azzardi: la tormentata Mps lascia sul terreno l’87,7% del suo valore di Borsa, male il Banco Popolare (-75%), Bpm (-60%), Ubi (-57%) e Unicredit (-47%). Forse si consolano Bper (-27%) e Intesa SanPaolo (-21%). Stando a un rapporto del Codacons, nel 2016 sono stati bruciati più di 15 miliardi di risparmi alla Popolare di Vicenza, a Veneto Banca, alle sciagurate Banca Etruria, Carife, Carichieti e Banca Marche. Oggi i principali analisti scommettono sul riscatto delle istituzioni finanziarie, malgrado le turbolenze in arrivo con le elezioni in Olanda, Francia, Germania e probabilmente in Italia.

Intanto piazza Affari può rasserenarsi almeno un po’ nel valutare i risultati di svariati titoli industriali: da Stm (+70,9%), regina del mercato, a Tenaris (+58,1%) a Buzzi Unicem (+37,6%). Nel complesso 16 titoli su 40 hanno chiuso il 2016 in positivo e si preparano alle nuove sfide con l’incertezza politica globale e la difficoltà tanto italiana nell’attuazione delle riforme: la sola inefficienza della pubblica amministrazione costa 30 miliardi l’anno di mancata crescita, secondo la Cgia di Mestre. L’ondata migratoria rischia di far esplodere l’Unione europea e qualcuno addirittura ipotizza l’inizio della fine dell’euro. Il dominio della finanza incrementa la diseguaglianza. Il terrorismo è un incubo. E poi un altro nodo complicato da sciogliere: la sostituzione del lavoro con la tecnologia fa esplodere il numero di esuberi e licenziamenti. Un report della banca americana Morgan Stanley stila un elenco di mansioni, anche qualificate, che verranno presto sostituite da algoritmi, computer e robot. Già nel 2020 la metà degli americani sarà free lance, con il rischio di impoverire intere comunità e mettere in dubbio il welfare degli Stati.