C’è chi sceglie ‘Ziggy stardust’, chi ‘Starman’, chi ‘Life on Mars’ chi ‘Space Oddity’: eleggere la canzone simbolo di David Bowie è impossibile. Ma di certo ‘Heroes’ è quella che lo rappresenta meglio di tutti, il ponte fra l’eredità glam e la  nuova era del moderno rock elettronico, destinata ad influenzare   la new wave e l’electric pop degli anni successivi . Bowie si rifugiò a Berlino per ripartire da zero, ancora una volta,  in una città affascinante quanto ancora adombrata dalle ferite di due guerre: la seconda mondiale e quella fredda.  E quando incise ‘Heroes’  la canzone non riscosse subito quel successo clamoroso che la storia le ha consegnato, ma Brian Eno, che ne compose la musica,  fu percorso da un presentimento positivo. E al primo ascolto sentì  un brivido, con quella voce epica che correva lungo la scia tracciata dall’immortale riff della chitarra di Robert Fripp.

 

Ma qual è la storia di ‘Heroes’?

Bowie per il testi di ‘Heroes’ racconta ai giornalisti che si è ispirato ad una scena vista dagli studi discografici Hans . Dice che da lì si vede il muro di Berlino e la torre di controllo della Germania orientale da dove i soldati, i temibili Vopos, sorvegliano il muro col  colpo in canna. Il Duca bianco vede un ragazzo e una ragazza che lì si incontrano, ogni giorno a pranzo, due innamorati, dice: ‘Potrebbero andare ovunque, perché proprio lì? _ si chiede Bowie _ Perché provano sensi di colpa e trovarsi di fronte al muro lo vedono come un atto di eroismo’. E’ una bella storia, ma non è proprio vera. Nel 1977 dallo studio Hansa si vedono solo 20 metri di muro e a 200 metri di distanza. Poi la verità, più banale: durante le pause delle registrazioni uno dei suoi musicisti Tony Visconti va a fare una passeggiata accanto al muro con una corista. ‘ Bowie mi disse _ ricorda Visconti  _ : ‘Vi ho ho visti accanto al muro’, ecco dove aveva preso l’idea’.  Ma ha importanza? Ha importanza cosa resta: una ballata romantica, senza tempo, incisa anche in tedesco e francese, suonata al Live Aid davanti a una folla adorante, una canzone-simbolo, destinata a sopravvivere a tutto e tutti, un tributo a una città che lui aiutò in qualche modo a rinascere. E quando nel 1987 Bowie tornò a Berlino per un concerto, fece in modo che l’impianto fosse piazzato in modo tale che anche la parte est della città potesse sentire la sua musica.