Caro De Carlo,
nel fiume di commenti e interviste che Radio RAI ha dedicato ieri alla morte di Andreotti, ho sentito un’affermazione del procuratore Caselli che mi ha fatto dapprima sobbalzare, poi rabbrividire. Senza alcuna apparente esitazione e vergogna, costui ha affermato che comunque Andreotti non si poteva considerare innocente in quanto, da una delle accuse per cui era stato processato, era stato sollevato per avvenuta prescrizione (ovviamente ignorando la piena assoluzione da altre accuse).

In un Paese civile, tutti dovrebbero sapere che un individuo è considerato innocente fino a condanna definitiva passata in giudicato.

A maggior ragione dovrebbe saperlo un magistrato, a meno che non abbia studiato nell’ Unione Sovietica o nella Cina di Mao, o che sia pervaso da una tale presuntuosa arroganza da poter ignorare certi principi fondamentali che reggono la nostra società.

Un’affermazione simile rivolta ad un pubblico non necessariamente istruito o informato sull’ argomento, è inammissibile. La gente comune potrebbe perfino credere che, venendo da persona così nota, tale asserzione sia accurata.

Capisco il disappunto di un “persecutore” che vede i suoi sforzi vanificati dalla lentezza del sistema giudiziario, lentezza di cui esso è anche responsabile, ma la diffusione di certe falsità non dovrebbe essere permessa senza le necessarie precisazioni e correzioni da parte dell’intervistatore.
In mancanza di queste, anche l’intervistatore se ne rende complice.
Il che non è per nulla rassicurante.

Cordialmente,

D. Z.

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Ma di che si meraviglia? Non sa che l’apparato giudiziario italiano è marcio, inquinato da faziosità, condizionato da ritardi e inefficienze, gravato da preconcetti e ignoranze?

Le pagine scure nella vita pubblica di Andreotti sono molte. Ma se i magistrati non sono riusciti a metterle in luce o peggio si sono mossi troppo lentamente la colpa è loro. E solo loro. E dunque i loro sfoghi a posteriori sanno di frustrazione e rabbia.