Questo Matrimonio non s’ha da… chiamare. Manzoni c’entra poco, e a trovarsi in difficoltà, più che Don Abbondio, in questo caso sono i linguisti, in seguito al cambiamento di costumi sentimental-familiari, in linea maschile. Già, perché mentre i dizionari inglesi stanno modificando la definizione della parola “matrimonio” alla luce del varo della legge che, nel Regno Unito e nel Galles, prevede anche le unioni fra persone dello stesso sesso, da noi le cose sembrano un tantino più statiche. E anche più laboriose.

“In Italia la metamorfosi linguistica potrebbe aver luogo solo in presenza di una normativa analoga, che ancora non esiste”, si stringe nelle spalle Nicoletta Maraschio, primo presidente donna della prestigiosa Accademia della Crusca. “Se anche qui arrivassimo a una legislazione innovativa che tenga conto dei matrimoni fra persone dello stesso sesso – sospira l’Accademica – allora anche i nostri dizionari dovrebbero adeguarsi”. Un termine – “matrimonio” – che in realtà ha già subito un’evoluzione di significato nel corso dei secoli: “È interessante vedere nelle cinque edizioni del vocabolario della Crusca (la prima è del 1612 e l’ultima è del 1863) qual è la definizione che i cruscanti danno del matrimonio. Il matrimonio è comunque legato al concetto di famiglia, alla “mater” e quindi al fare figli, concetto che continua fin nella Quinta Crusca: “unione e convivenza legittima dell’uomo con la donna a fine di procreare figlioli” “. “Il mio auspicio? – conclude la presidente della Crusca – . Spero che nel nostro Paese venga riconosciuto il matrimonio tra persone dello stesso sesso e che si mantenga la parola, dandole un nuovo significato, ma mantenendo anche tutti i valori simbolici che la parola ha”. Amen.

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