Da <bamboccioni> a <sfigati> il passo è breve, e l’ha fatto, compiendo anche un bello scivolone, il viceministro Michel Martone, 37 anni, con una laurea in tasca dall’età di 23. Secondo Martone chi non si è ancora laureato a 28 anni è apunto uno sfigato. Michel ha 37 anni e alle spalle un curriculum da fare invidia a un cinquantenne, anche se con l’ombra di essere figlio di papà. Papà è infatti il magistrato Antonio Martone, ricco di contati politici. Insomma il sospetto che una spintarella il giovane Michel l’abbia avuta, forse qualcuno ce l’ha, ad esempio nel 2000 Brunetta gli diede una consulenza da 40mila euro: per i dettagli sulla sua carriera si può fare un giro su internet e ciascuno poi ne tragga le conclusioni, che sia un enfant prodige o qualcuno con le spalle coperte….

Ma non è questo a mio avviso il punto, quanto l’indignazione che quel termine, sfigato, ha suscitato soprattutto nel popolo del web, delle chat, di twitter ecc. Tutti a dire che anche Steve Jobs secondo questi parametri era uno sfigato, ecc, ecc.. Allora, prendere una laurea non è un obbligo, lo sa chiunque che guadagna di più un idraulico che un professore universitario. Se poi un ragazzo sceglie per il <pezzo di carta>, mi sembra che a 28 anni debba essere ormai vicino ad averlo. Certo ci sono gli studenti lavoratori, e ci sono i ragazzi laureati a 25 anni ma senza lavoro e sono tanti: ma come la mettiamo con quelli che invece si polleggiano a spese di mamma e papà? Ciò detto, Martone anche se in maniera un po’ rozza ha messo il dito sulla piaga, ovvero la necessità di una maggiore coesione fra il mondo del lavoro e quello della scuola. E fra l’altro ha messo d’accordo quasi tutte le voci, anche politiche, che difendono la sosta sui banchi universitari ad oltranza. Anzi no, qualcuno fuori dal coro c’è e forse è qualcuno che ha voce in capitolo, come il direttore generale dell’università ‘Luiss’ di Roma, Pierluigi Celli. Che ricorda come “oggi la media di età dei neolaureati italiani è superiore ai 27 anni, mentre la media europea non arriva a 24 anni. Oramai, il mercato del lavoro non è più nazionale ma quanto meno europeo se non internazionale. E allora – osserva – i giovani italiani con la laurea rischiano di presentarsi con tre, quattro anni di ritardo rispetto ai giovani europei>. E ancora: <In ogni caso, ‘Italia resta al di sotto della percentuale Ue per quanto riguarda i laureati, anche se è vero che la struttura aziendale italiana è formata in forte misura da piccole e medie imprese, che magari richiedono più diplomati che laureati. Anche la laurea breve può essere utile, ma la vera formazione si ha con una laurea ‘vera’ e magari con un master post-laurea. Il richiamo del viceministro e’ pensante ma giusto: si deve arrivare alla laurea al massimo un anno dopo le annualità previste, diciamo entro i 25 anni. Alla ‘Luiss’, ad esempio, abbiamo disincentivato la presenza dei fuoricorso con rette molto più care rispetto a quelle previste per chi si laurea nel tempo stabilito>.

Andiamo avanti. Si legge su tuttoscuola.com: < nel 2009 già 13 paesia vevano raggiunto l’obiettivo del 40 per cento di laureati fra i 30-34enni (e la spagna è al 39,4), la media europea era al 32,3 per cento. e l’Italia? Al 19 per cento, nel 2009. In Europa dopo di noi ci sono solo la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Romania e la Turchia . Sembra dunque che la questione sia più antica e complessa di quel che appare, ma epr me una cosa è  certa: i laureandi attempati vanno bene solo nei film di Pieraccioni.