Si è dipanata lenta la tragedia di Yara Gambirasio e chissà quali altri inquietanti passaggi ci attendono. Ricordo quando la notizia della scomparsa, il primo flash di agenzia, arrivò in redazione a Il Giorno, l’iniziale scetticismo dei più e la preveggenza di chi, considerando l’età  della ragazzina e il contesto, subito intuì che non poteva trattarsi di una semplice fuga destinata a concludersi nel giro di qualche ora. Con il passare del tempo si delineò in modo preciso il profilo di Yara e della sua famiglia, quindi la convinzione che potesse trattarsi di altro prese il sopravvento diventando infine certezza. Fu l’inizio del calvario. Le ricerche si protrassero per mesi fino al ritrovamento del corpo in un campo, un luogo setacciato più volte e che nessuno avrebbe mai creduto potesse nascondere una simile, tremenda verità. L’illusione di rivedere viva Yara svanì in un freddo sabato pomeriggio. Da quel momento in poi l’unico obiettivo è diventato quello di scovare l’assassino e gli eventuali complici. Da ieri la verità  potrebbe essere vicina, ma di certo molti tasselli di questa tragedia devono ancora essere incasellati e ricostruire la vicenda nel suo agonico sviluppo richiederà altro tempo e causerà altro dolore.

Se però il carnefice, come a Motta Visconti (teatro della strage di famiglia di sabato scorso), fosse davvero un altro insospettabile uomo “casa, chiesa e lavoro” verrebbe spontaneo domandarsi se siamo ancora in grado di leggere, quindi di capire, chi abbiamo accanto. Certo, il male sa insinuarsi in silenzio e a volte non siamo in grado di riconoscerlo, arrivando a trovare giustificazioni o, addirittura, a cancellare intere pagine della nostra vita. Quante volte è capitato, quanti convinti innocenti, evidenti colpevoli, finiscono in carcere? Ma se, nel bene e nel male, la mente di un uomo è capace di straordinari prodigi, perché chi ci sta accanto non è più in grado di leggere il malessere, l’instabilità, la confusione e il vortice nel quale si può precipitare? I delitti, i crimini più o meno efferati, accompagnano la storia dell’uomo ed è inutile stupirsi o pensare che oggi sia peggio di ieri. Di certo l’individualismo esasperato accompagnato dalla convinzione che sia sufficiente apparire quello che in realtà non si è portano i più a ritenere di poter convivere serenamente con il male. Tutto è giustificato e giustificabile se il risultato, seppur parziale ed effimero, è raggiunto. Si sommano quelle che comunemente sono considerate opere buone, dalla messa ogni domenica al regalo alla moda per i propri figli, dalla carezza al gatto di casa al pagamento della rata condominiale, ma si dimentica di sottrarre quello che non vogliamo vedere e che non ci farebbe dormire. Bravi cittadini, non certo mostri, che però nascondono in fondo all’anima un male profondo e lo tengono lontano da sguardi indiscreti. Forti di una certezza: nessuno sente la necessità di scandagliare quegli abissi perché per tutti è molto più semplice rifugiarci nella ovvietà, nel banale chiacchiericcio quotidiano. Pronti a digerire tutto. Tempo fa sentivo di un signore, inappuntabile lavoratore dal tran tran regolare, che aveva l’abitudine di dormire la notte con la pistola sotto il cuscino. Se ne parlava così, senza dar troppo peso alla cosa, come di una stranezza, un po’ inquietante, ma niente più. Come di quel tale che estate e inverno si faceva accompagnare al lavoro dall’anziana madre, lasciandola poi chiusa in macchina fino alla fine del turno. Un giorno si è svegliato perché il cane del vicino abbaiava e li ha fatti fuori entrambi con il fucile da sub. Perché era uno sportivo, uno di quelli che non si sarebbe mai detto. Ma in definitiva basterebbe ri/leggere i racconti di Raymond Carver per capire in che razza di mondo viviamo. E non stupirci di niente.