NEGLI INTERMINABILI e solitari pomeriggi estivi dell’adolescenza, quelli che poi si finiscono per rimpiangere quando si entra nell’era degli anta, avevo scoperto un modo per togliermi di dosso quel senso di insopportabile apatia confinante con la depressione: mi infilavo le scarpe da tennis e mi buttavo correndo lungo le strade che da casa mi portavano in campagna. Il sole scottava e i primi minuti non erano facili, soprattutto quando per la foga sbagliavo il passo e azzardavo ritmi da primatista. Non appena però le strade si facevano ghiaiose fino a trasformarsi in cavedagne, come capita quando si abita in un paese della bassa padana, senza nemmeno accorgemene tutto cominciava a filare per il verso giusto. Il piacere faceva dimenticare la fatica e il tempo passava senza che me ne accorgessi. Il percorso era sempre lo stesso, quello che saltando da un fosso all’altro mi portava fino a una piccola chiesetta, punto che mi ero dato per tornare sui miei passi. Così è nata la mia passione per la corsa, la stessa che mi accompagna ancora oggi. Ho partecipato a maratone nelle capitali del mondo, ho seguito tabelle sottoponendomi a periodi di allenamento intensi per migliorare i miei tempi, mi sono imposto diete ipo e ipercaloriche… Insomma, di tutto e di più, fino a quando, al culmine della follia agonistica, nel cuore del Sahara dov’ero finito per correre la leggendaria Marathon des Sables, ho preso il cronometro, l’ho infilato nello zaino e lì l’ho lasciato. Per sempre. Avevo capito che il modo giusto di correre, e di fare sport in generale, non era segnato da un tempo dettato dall’esterno, ma da quello che sentivo dentro, che passava dalla mia testa e dal mio cuore. Come quando da ragazzino mi incantavo ad ammirare il paesaggio e il sole mi scaldava il cuore.

INTENDIAMOCI, benedetta sia la tecnologia. A volte quando sento le voci meccaniche degli avveniristici cronometri che indossano runner di passaggio, quelli che ti dicono tempo, media e chilometri percorsi, un po’ li invidio e mi dico che sarebbe bello averne uno. Magari potrei finalmente scendere sotto le tre ore in maratona, traguardo sfiorato e mancato sempre per i soliti, maledettissimi dieci minuti. Ma poi ci ripenso. Va bene così, non importa che ci sia un suggeritore a dirmi quello che sto facendo. Lo so già: è la cosa giusta.