“IL PD È polverizzato. Il primo scalino da salire è rianimare il soggetto politico con un gruppo dirigente autorevole che ridia fiato ad un confronto utile a ridefinire una prospettiva politica e di governo” ha scritto  su La Nazione l’ex sindaco di Sesto Fiorentino Andrea Barducci. L’altro ex sindaco, Carlo Melani, sempre sul nostro giornale chiama in causa il gruppo dirigente che si è chiuso nelle stanze del potere. Sesto è diventato un caso perché mette in risalto le crepe del Pd renziano in una roccaforte storica. Al di là delle peculiarità sestesi il maggior partito della sinistra evidenzia analoghe criticità anche a Firenze. Tre gli aspetti da sottolineare. Primo: di Renzi ce n’è uno solo. La classe dirigente che a lui fa riferimento latita, carente in brillantezza e lungimiranza.

I segretari, cittadino e metropolitano (Gianassi e Incatasciato), ci mettono cuore e testa ma sembrano non incidere. Idem altrove. Giocare la carta Becattini a Sesto, doverosa per carità e con tutto il rispetto per l’uomo di partito, era come cercare di rianimare uno scheletro in mostra alla Specola. Dov’era il partito quando doveva ascoltare le prime scosse del terremoto nella capitale della Piana? Secondo: il gruppo dirigente non muove foglia che Roma non voglia. Scarsa autonomia e quindi anche scarsa capacità di intercettare per tempo i problemi. Terzo: troppa gestione del potere e occupazione di poltrone e affievolimento del radicamento tra la gente. E in questo caso il potere potrebbe logorare, alla lunga, chi ce l’ha. Basta annusare i dati del tesseramento oppure entrare in un circolo. “La nostra gente è stanca di parlare di politica perché sa di non essere più ascoltata” mi ha detto uno storico tesserato dal Pci al Pd l’altro giorno dopo i fatti di Sestograd. Anzi di Sestocaos, pardon.

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