Due ostaggi italiani uccisi, e il presidente del Consiglio tace. Due ostaggi italiani rilasciati, e il presidente del Consiglio continua a tacere. Il silenzio di Matteo Renzi ne denuncia le difficoltà. Parlare limitandosi a considerazioni retoriche sarebbe fuori luogo. Fare annunci sul futuro dell’Italia in Libia sarebbe invece rischioso. Di qui l’inedito silenzio del presidente del Consiglio. Mai stato così sotto pressione, Matteo Renzi. A premere sull’Italia sono soprattutto gli Stati Uniti. Lo scorso ottobre, il “Corriere della sera” annunciò in prima pagina l’intenzione del governo italiano di mandare aerei da guerra in Iraq per bombardare le postazioni dell’Isis. Non era vero. Ma era quanto l’amministrazione americana si aspettava da noi. Ieri, sempre sul Corriere, è comparsa un’insolita intervista con cui l’ambasciatore statunitense a Roma, John R. Phillips, sosteneva che “l’Italia potrà fornire fino a 5mila militari” per combattere l’Isis in Libia. Non è vero neanche questo. E’ che l’America ha smesso da tempo di rischiare la vita dei propri militari per mettere ordine nel mondo, ma non ha smesso di dare ordini ai propri alleati per raggiungere scopi analoghi. Lo zio d’America è diventato vecchio, pauroso e povero. Ma agita ancora nell’aria il bastone del comando. E noi europei, pacifici e pavidi come siamo, non ci sentiamo pronti a fare a meno di lui. Il governo italiano spera ardentemente di non dover partecipare a una vera e propria missione militare sul campo libico. Tre le ragioni. La prima: i sondaggi dicono che gli italiani sarebbero contrari. La seconda: in caso di guerra aumenterebbe il rischio di attentati in Italia. La terza: tutti gli interlocutori locali, da Tripoli, a Tobruk, a Misurata, ci hanno detto che se truppe occidentali comparissero in massa sul suolo libico nessuno sarebbe più in grado di garantire nulla e i consensi dell’Isis crescerebbero di conseguenza. Il primi due argomenti sono indice di debolezza, in casi estremi come questo, quando in gioco ci sono tanto gli interessi quanto la sicurezza nazionali, un leader decide indipendentemente dai sondaggi e dalle conseguenze. Il secondo argomento è invece serio. Perciò insistiamo nel difficile tentativo di far nascere a Tripoli un governo di unità nazionale cui deleghiamo ufficialmente la scelta di un nostro eventuale coinvolgimento militare. Lo facciamo perché già sappiamo che quel governo, se nascerà, non chiederà né a noi né ad altri di occupare la Libia, ma solo di collaborare con le milizie nazionali fornendo molti mezzi e pochi uomini, il meno visibili possibile. Semmai l’operazione dovesse riuscire, per l’Italia sarebbe un successo: manterremmo la nostra influenza geopolitica, tuteleremmo le posizioni egemoniche dell’Eni e non rischieremmo di infilarci in un nuovo Afghanistan. Per ragioni uguali e contrarie (primato politico e interessi energetici) Francia, Regno Unito e Stati Uniti sperano invece in un conflitto aperto. Abbiamo molti nemici, in giro per il mondo. Ma oggi a complicarci la vita sono soprattutto gli amici.