Sono risate amare, quelle strappate dai campioni della comicità italiana. Abbiamo amaramente sorriso nel 1961 vedendo Alberto Sordi in “Una vita difficile”, siamo tornati a sorridere amaramente guardando “Quo vado?” con Checco Zalone. Due maschere comiche, due campioni di incassi, un unico tema evidentemente sempre attuale e popolare: la corruzione. O meglio, il nostro carattere nazionale e le dinamiche sotterranee del sistema-Italia. E’ dall’epoca dei Comuni che noi italiani brilliamo per un’indiscutibile abilità nello scansare i doveri, aggirare le leggi, far incetta di raccomandazioni, riunirci in clan. Negli anni Cinquanta il sociologo americano Edward Banfield coniò per noi la categoria del “familismo amorale”, nei giorni corsi una ricerca condotta su scala europea ci descriveva come il popolo meno meritocratico e il più incline al sotterfugio. Bella scoperta. Inutile, ora, ragionare sulle cause del fenomeno. Il punto è che siamo fatti così. E in un Paese fatto così introdurre una fattispecie penale come quella del “traffico di influenze illecite”, che ora pende sul capo del ministro dimissionario Federica Guidi e del suo fidanzato Gianluca Gemelli, significa armare la mano dei pm riconoscendogli, politicamente parlando, licenza di uccidere. Non c’è infatti leader politico o amministratore pubblico o grande imprenditore privato che non possa essere legittimamente considerato colpevole di questo strampalato reato frutto dalla fervida immaginazione di un ministro del governo Monti, la potente e assai “influente” Paola Severino. Un reato così anomalo da suscitare le perplessità dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, realisticamente preoccupato che si finisse così per sanzionare “condotte in altri Paesi del tutto lecite’’. Che questo reato sia imputato o meno a chicchessia dipende solo dall’umore con cui si alza al mattino un pubblico ministero e dal suo desiderio di finire sulle prime pagine dei giornali. Dell’inchiesta della procura di Potenza si sa ancora poco. Ad oggi, è emerso solo che tutti coloro che hanno potuto esercitare la propria influenza attorno alla costruzione del centro oli della Total a Tempra Rossa sembrano averlo fatto: dal ministro Federica Guidi all’ammiraglio De Paola, dal governatore renziano della Basilicata Pittella alla sindaca cuperliana Rosaria Vicino, passando per la fondazione dalemiana Italianieuropei. Può essere che emergano reati più consistenti. Allo stato, però, viene da chiedersi se valga la pena di mettere a rischio quasi due miliardi di investimenti e 4mila posti di lavoro per punire qualche raccomandazione e un’ordinaria attività lobbistica. Sappiamo che così la pensa anche Matteo Renzi, attorno al quale sono in molti a ritenere che la procura di Potenza si sia addirittura mossa per finalità politiche. Ma se questo è il retropensiero, aver indotto alle dimissioni il ministro Guidi non è stato un segno di forza, bensì di debolezza. Un assecondare il vento calandosi sul viso una maschera come nei film di Alberto Sordi o di Checco Zalone.