Un lettore, Marcello Severini, scrive al Carlino sul tema del referendum anti trivelle e dice: <A proposito sull’autosufficienza energetica, e pur condividendo le preoccupazioni degli antitrivellisti, devo dire che questo referendum assomiglia a quello sul nucleare in occasione del quale abbiamo detto no e che ci ha comportato di averlo comunque a 50 km dal confine e di comperare l’energia dalla Francia senza astenerci dal pericolo>. Il 17 aprile infatti si voterà il referendum sulle trivellazioni in mare voluto da 9 regioni. Chi vota sì è per fermare le trivellazioni appena scadono le concessioni attuali, chi vota no è per prolungare l’ estrazione di gas e petrolio. Dunque l’ Italia rischia di bloccare l’attività mentre, per esempio, Croazia e Slovenia trivellano davanti al nostro naso. Questo si chiama autogol.

In un momento in cui cerchiamo a tutti i costi l’autonomia energetica rischiamo di lasciarcela sfuggire in virtù dei talebani ambientalisti mettendo a repentaglio, fra l’altro, centinaia e centinaia di posti di lavoro. Ha senso lasciare campo libero ai vicini di casa?  Non ha alcun senso. A Ravenna, dove sono numerose le piattaforme marine, anche il sindacato Cisl invita a dire no. E perfino le due squadre cittadine di volley e basket sono comparse a Rai sport con uno striscione eloquente: «Dal gas l’energia pulita, no ai No triv, sì al lavoro».

Come diceva un mio vecchio caposervizio quando era in ballo una scelta <non si può andare a messa e stare a casa>. E se vogliamo l’energia pulita dobbiamo anche sacrificare uno spicchio di mare. Questo è il massimo rischio. Non ci sono infatti prove scientifiche conclamate di inquinamento. Un rischio c’è se fermiamo le trivelle italiane: la Croazia estrae il gas che potremmo estrarre noi e ce lo rivende a prezzo maggiorato. Un vero affare.

Beppe Boni