Lorenzo Bianchi

Lo stato di emergenza è finito, evviva lo stato di emergenza. Recep Tayyp Erdoğan l’aveva promesso. Alla mezzanotte italiana, le una a Istanbul, semplicemente non lo ha prorogato per l’ottava volta dal 20 luglio del 2016, cinque giorni dopo il golpe fallito che sarebbe stato ispirato dall’imam Fethullah Gülen fuggito negli Stati Uniti nel 1999. Avrebbe potuto essere una svolta epocale se il “Sultano” non avesse provveduto a svuotarla in anticipo. Il 16 luglio il suo partito, l’Akp, ha presentato in commissione un disegno di legge che prolunga di tre anni molte regole degli ultimi due anni. In particolare un sospettato di un “crimine collettivo” può essere fermato per un massimo di 12 giorni senza che gli sia formalizzata nessuna accusa. I governatori avranno il potere di vietare l’ingresso o l’uscita delle persone da una città per 15 giorni per motivi di sicurezza. Potranno anche vietare agli individui di girare con armi e munizioni anche se titolari di specifica licenza.

Anche le purghe non si fermeranno. Per tre anni, secondo il giornale liberal “Hurriyet”, potranno essere licenziati membri delle forze armate, della polizia, della Gendarmeria, funzionari e pubblici dipendenti sospettati di legami con organizzazioni, gruppi o strutture terroriste classificate come tali dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale i cui componenti sono designati dal capo dello stato, ossia il “Sultano” in persona. Ovviamente non potranno essere riassunti dallo stato. I giudici potrebbero solo riassegnarli, nella migliore delle ipotesi, a pool che saranno assegnati a “centri di ricerca” dei ministeri della difesa e dell’interno. Naturalmente saranno cancellate tutte le loro licenze per la detenzione di armi nonché i loro passaporti e anche quelli delle mogli. Lunedì la proposta di legge sarà discussa dalla Grande Assemblea, il Parlamento, nella quale l’Akp può contare su 295 dei 600 seggi.

L’opposizione continua a essere perseguitata in ogni modo. Secondo “Hurriyet” dopo che la Procura di Ankara ha aperto un’inchiesta per “insulti al Presidente”, Erdoğan ha calato l’asso denunciando Kemal Kılıçdaroğlu, presidente del partito di opposizione più forte, il Chp, e altri 72 parlamentari della stessa compagine politica per aver twittato un cartoon che raffigurava il presidente con forme di un elefante, di una scimmia e di un serpente. Il cinguettio voleva sollevare il caso dei 4 studenti arrestati perché il 6 luglio indossavano cartelli che riproducevano il cartoon irriverente durante la cerimonia delle lauree del Politecnico del Medio Oriente. Le vignette furono pubblicate per la prima volta dalla rivista Penguen nel 2006.

Il “Sultano” aveva presentato querela anche in quella occasione, ma i giudici gli avevano dato torto. Altri tempi, altro clima. Ora succede invece che la detenzione di Selahattin Demirtaş, capo dello Hdp, il partito filocurdo e liberal, in carcere per presunti contatti con il terrorismo dal 4 novembre 2016 assieme alla copresidente Figen Yüksekdağ e ad altri 9 parlamentari spogliati dell’immunità, sia stata estesa almeno fino al 28 agosto. E Kılıçdaroğlu è stato condannato a risarcire 359.000 lire turche, ossia 64.620 euro, per aver accusato (e successivamente documentato con ricevute dei trasferimenti) il “Sultano” e i suoi parenti di aver esportato e depositato risorse finanziarie per diversi milioni in conti correnti nel paradiso fiscale britannico dell’isola di Man. Il verdetto è stato emesso dalla ventesima corte di prima istanza di Istanbul.

Il potere di Erdogan non ha bilanciamenti di nessun genere. Nel suo nuovo governo, che ha giurato il 9 luglio, il genero del presidente Berat Albayrak, che già nel precedente esecutivo era titolare dell’energia e delle risorse naturali, è stato promosso al dicastero delle finanze. Per l’uomo, che molti considerano l’erede naturale del presidente, è un salto importante: controllerà l’economia, in un momento in cui l’inflazione e la svalutazione della lira sono tra i capitoli più critici per Ankara. I licenziati del settore pubblico sono 130 mila. Più di 200 aziende del settore mass media sono state chiuse. Secondo i dati del Ministero della giustizia sono state avviate 100 mila investigazioni criminali. Fino al 10 luglio 48 mila erano arrivate alle Corti di giustizia. Le persone arrestate con l’accusa di far parte dell’organizzazione di Ghűlen sono 20.008. I giudici sono 705, i soldati 6.954, i poliziotti 5.139, i professori 6.587. I decreti del periodo di emergenza hanno modificato 107 leggi dello stato.