Narendra Modi, l’alfiere indomito del nazionalismo indù, vince di nuovo, anzi dilaga. Gli Stati Uniti che hanno puntato sull’India per contenere la Cina potranno contare su un governo amico per un altro lustro. Per l’Italia resterà apertissimo un mercato rampante che nei primi nove mesi dell’anno scorso ha assorbito esportazioni per 2,8 miliardi di euro. Non a caso proprio ieri l’ambasciatore a Nuova Delhi Lorenzo Angeloni ha inaugurato “Casa Italia”, un centro elegantissimo che distribuirà caffè italiano e visti agli uomini d’affari. L’Italia è il quinto partner commerciale dell’India fra i 28 Paesi dell’Unione Europea.

Il voto per la Camera Bassa, la Lok Sabha, è cominciato l’11 aprile e si è concluso il 19 maggio, dopo sette tornate elettorali. Avrebbero potuto esprimersi 900 milioni di cittadini. Ha votato il 67 per cento. Nella notte del 18 il Primo ministro uscente ha ottenuto un permesso speciale per ritirarsi in una grotta dell’Himalaya vicina a Kedarnath, un luogo di culto per Shiva, il signore indù degli animali. Un profluvio di immagini rilanciate su twitter lo ha mostrato in meditazione coperto da un manto arancione. Per l’occasione, secondo il quotidiano “Times of India”, il luogo era vigilato da un circuito televisivo interno e la cavità era stata allargata a dovere e dotata di aria condizionata.

Modi aveva capito che la campagna elettorale era un referendum sulla sua persona. Una consapevolezza che lo ha impegnato in 142 manifestazioni pubbliche seguite da circa 15 milioni di fan. La leadership del suo partito è più che confermata. Da solo il Bharatiya Janata Party tocca i 303 seggi (su 542), più dei 282 conquistati nel 2014. In ogni caso supera la soglia della maggioranza assoluta, ossia 272 mandati parlamentari. Con gli alleati la coalizione, la “Nda” arriva a 353. La borsa di Bombay è schizzata verso l’alto, ma poi ha chiuso in ribasso dello 0,76 per cento. L’indice principale, il Sensex, era cresciuto dell’1 infrangendo il record dei 39.500 punti.

Il tasso di disoccupazione è il più alto dagli anni settanta. Il Centro per l’analisi dell’economia indiana stima che in aprile sia salito al 7,6 per cento. Per fare il pieno di voti Il primo ministro uscente ha pagato il prezzo di uno sbandamento verso la destra indù. Ha promesso di ridurre l’autonomia del Kashmir, uno schiaffone al Pakistan e ai suoi protettori cinesi. Si è esibito in dure filippiche contro il terrorismo islamico, in Kashmir e non solo, e ha reiterato la promessa di costruire un tempio dedicato al dio Ram sulle rovine di una antica moschea venerata dai musulmani, il 14 per cento della popolazione. Il “Partito del Congresso”, incarnato da Rahul Gandhi e dalla sorella Pryanka, ha migliorato, ma si è fermato a 52 seggi, una manciata in più dei 44 conquistati cinque anni fa. La coalizione di opposizione “Upa” assieme all’alleanza secolare “Mahagathbandhan” dell’Uttar Pradesh ha racimolato solo 105 mandati. Rahul ha riconosciuto la vittoria di Modi: “Il popolo è il vero governante e oggi ha dato il suo verdetto. Come indiano lo rispetto totalmente”. Ha perso il seggio di Amethi, per decenni roccaforte della famiglia Nehru-Gandhi nell’Uttar Pradesh, ma non sarà escluso dal nuovo Parlamento perché ha vinto a Wayanad, nel Kerala. Il “Congresso” non avrà rappresentanti alla Lok Sabha in 18 stati su 29.