Un colpo di spugna. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha cancellato l’autonomia costituzionale del “Jammu e Kashmir”, l’unico stato dell’Unione a maggioranza musulmana, 12 milioni di abitanti, scintilla iniziale di ben quattro guerre con il Pakistan (entrambi gli Stati sono dotati di armi atomiche). La fine dello status speciale, che lasciava a Nuova Delhi una competenza limitata alla politica estera, alla difesa e alle comunicazioni, è stata decretata da una risoluzione presidenziale che ha abrogato l’articolo 370 della Costituzione e una successiva modifica, la norma 35 A.

L’annuncio alla Camera Alta, quella degli Stati che compongono l’Unione Indiana, la Rajya Sabha, è stato dato dal responsabile degli interni Amith Shah. Immediata la reazione del ministro degli esteri pachistano Shah Mehmood Qureshi. “Il “Jammu e Kashmir” occupato dall’India  – ha replicato – è un territorio conteso riconosciuto da risoluzioni delle Nazioni Unite. Nessun passo unilaterale del governo indiano può cambiarne lo status, e la popolazione non lo accetterà mai. Il Pakistan farà tutto ciò che è in suo potere per contrastare i passaggi illegali”.  Secondo Sardar Masood Khan, presidente della porzione di Kashmir controllata da Islamabad, la situazione creata da Nuova Delhi può “portare alla guerra”.

L’India si era preparata. La fine della solida autonomia del “Jammu e Kashmir” era nel manifesto di Modi, che ha stravinto le elezioni del 23 maggio. Due settimane fa cinquantamila militari sono stati trasferiti con un ponte areo dagli stati indiani confinanti, un robusto rinforzo ai seicentomila già di stanza nella regione contesa. Nello scorso fine settimana è stato sospeso il pellegrinaggio annuale al santuario indù che si trova nelle grotte di Amarnath. Tutti i ventimila pellegrini sono stati evacuati invocando il pericolo di un attentato terrorista.

Ora la regione è sotto un sostanziale coprifuoco a tempo indeterminato e completamente isolata. E’ vietato ogni raduno che coinvolga più di quattro persone. Nella tarda nottata di domenica sono state bloccate le comunicazioni e internet. Le televisioni via cavo sono state oscurate. La primo ministro della regione autonoma Mehbooba Mufti è agli arresti domiciliari a Srinagar. E’ riuscita solo a lanciare un tweet nel quale ha scritto che a “questo punto l’India è solo una forza di occupazione”. Lo stesso trattamento è stato riservato ai due ex premier che l’hanno preceduta.

Il responsabile indiano degli interni Shah assicura che il suo Paese non permetterà allo “Jammu e Kashmir” di diventare “un altro Kosovo”. La regione è stata divisa in due normali “territori dell’Unione indiana”, il “Jammu e Kashmir” e il “Ladakh”. Il secondo non eleggerà nessun parlamentare, come l’area di Nuova Delhi. Con un tratto di penna sono sparite tutte le garanzie costituzionali della norma 35 A, un argine contro un eventuale tentativo di diluire demograficamente l’identità della regione contesa.

Vietava infatti agli indiani non riconosciuti come residenti dalle autorità di Srinagar di trasferirsi in modo permanente nel “Jammu e Kashmir”, di acquistare terre, di rivestire cariche di governo locale e di ottenere borse di studio. Le donne del luogo perdevano i loro diritti di proprietà se sposavano persone esterne alla regione. La spoliazione era estesa anche ai loro figli. Shah ha tentato di minimizzare ricordando che l’articolo 370 della Costituzione è stato già cambiato due volte in passato, nel 1952 e nel 1962.

Nuova Delhi ora promette affari e sviluppo economico. Il ministro dell’interno annuncia: “Saranno aperte attività imprenditoriali e sarà possibile avviare scuole private, cliniche ed ospedali in un territorio saccheggiato per anni da tre sole famiglie”. Al quartier generale del Partito di Modi, il Bharatiya Janata Party, l’euforia si toccava con mano. Per il leader della compagine politica Arun Jaitley “è stata una decisione monumentale sulla via dell’integrazione nazionale”. I partiti di opposizione denunciano la ferita alla Costituzione. Nel 1947 L’India promise un referendum che non si è mai tenuto. Dalla fine degli anni ottanta si è insediato nel Kashmir indiano un movimento indipendentista che ha provocato almeno cinquantamila morti.