Di Lorenzo Bianchi
Un’astensione da record. Solo il 41 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne per rinnovare il Parlamento, 290 deputati, e per scegliere i membri dell’Assemblea degli Esperti, gli ottantotto esponenti del regime che dovranno eleggere la prossima Guida Suprema. Nelle prime elezioni indette dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane curda arrestata perché una ciocca dei suoi capelli non era coperta dal velo, si è registrata l’affluenza più bassa dai tempi della rivoluzione islamica del 1979, a Teheran meno del 24% (nella capitale gli iscritti alle liste elettorali erano erano 8 milioni). Secondo gli attivisti che si battono per i diritti umani sarebbe “intorno al 30%”.
L’attuale leader assoluto della teocrazia, l’ayatollah Ali Khamenei, 84 anni, sarebbe in condizioni di salute precarie e ha la necessità di garantire che il potere passi a un suo fedelissimo senza scosse. Per questa ragione gli aspiranti a un seggio nel consesso degli esperti sono sottoposti a un vaglio occhiuto che ha portato anche ad esclusioni clamorose. Nel 2021 fu depennato l’ex presidente del Parlamento ali Larijani. Alla corsa del primo marzo non ha potuto partecipare l’ex presidente Hassan Rouhani, un esponente moderato che era membro dell’Assemblea dal 1999 e che fino al 2021 è stato un componente del Consiglio supremo della Sicurezza nazionale. In questa veste aveva partecipato alle lunghe trattative sulle ricerche nucleari del regime.
Un veicolo di lancio russo ha mandato in orbita un satellite iraniano il 29 febbraio. La collaborazione tra Teheran e Mosca in campo aerospaziale, cominciata due anni fa, preoccupa Washington. Secondo recenti valutazioni dell’intelligence Usa, citate dai media, tali lanci potrebbero accelerare i tempi di sviluppo di missili balistici intercontinentali da parte di Teheran.
Ha fatto scalpore anche la decisione di Mohammad Khatami, il primo presidente riformista dell’Iran, di disertare il suo seggio. La decisione viene vista come un punto di svolta per i riformisti che hanno a lungo dibattuto sul valore della partecipazione a un processo elettorale che a molti pare una farsa.
Nel giorno del voto il regime ha condannato a tre anni e otto mesi di carcere il cantante pop Shervin Hajizadeh, autore di “Baraye”, un brano che è diventato una sorta di inno durante le rivolte anti governative del 2022 e del 2023. All’artista, 26 anni, premiato in passato con un Grammy speciale per la migliore canzone sul cambiamento sociale, è stato vietato di lasciare il Paese. La Repubblica islamica si è anche fatta beffe di lui intimandogli di fare pubblicità sui social media per la teocrazia e di incidere un brano “sui crimini degli Stati Uniti contro l’umanità”.
Khamenei è alla guida del Paese dal 1989 e ha accumulato un potere che nella storia iraniana può essere paragonato solo al vertice della dinastia Qajar. La Guida Suprema ha costruito un apparato di 5 mila persone nel quale il figlio Mojtaba ha un ruolo occulto, ma centrale. Il presidente Ebrahim Raisi lavora sotto l’influenza costante dell’apparato della Guida Suprema. Al momento non si conoscono candidati alla successione al vertice.
“Boicottare queste elezioni è un dovere morale per tutti gli iraniani che amano la libertà e che vogliono la giustizia”, ha dichiarato Narges Mohammedi, premio Nobel per la Pace e attualmente rinchiusa a Evin, il carcere dei dissidenti. Quelle del 1 marzo saranno le prime elezioni generali dopo le proteste di piazza del movimento “Donna, vita e libertà”.
Le manifestazioni, che hanno interessato gran parte del Paese, chiedevano esplicitamente la fine della Repubblica islamica e di uno dei suoi pilastri: l’obbligo del velo per le donne, l’hijab. Il regime ha risposto con una repressione violenta e con una nuova legge sul copricapo ancora più restrittiva. Cinquecento persone sono state uccise. Le esecuzioni capitali sono state almeno otto. Una crudeltà che la popolazione, e in particolare le donne, non hanno dimenticato. Il movimento “Donne, Vita, Libertà” aveva invitato le iraniane ad astenersi “per non divenire complici dei crimini del regime”. Sulle piattaforme social molte hanno giurato che torneranno a votare solo quando ci sarà un referendum che permetta di scegliere il sistema di governo del Paese.
All’alba del 23 gennaio in Iran era stato impiccato Mohammad Ghobadlou, un disabile mentale di 23 anni che aveva partecipato alle prime manifestazioni del movimento “Donna, vita, libertà”. Al termine di un primo processo nel mese di luglio del 2023 era stato condannato a morte. Il verdetto era stato impugnato. Secondo carte ufficiali pubblicate su “X” dall’avvocato di Ghobadlou poco prima dell’esecuzione, il capo della magistratura iraniana Gholamhossein Mohseni Eje’i, su segnalazione del responsabile della procura di Teheran Ali Alghasi, ha bloccato il processo d’appello e rinviato il caso ai giudici della sezione 39 della Corte suprema, la stessa che in precedenza aveva ratificato la condanna a morte. Dopo l’impiccagione di Ghobadlou e le successive proteste nazionali e internazionali, la sezione 39 della Corte suprema ha reso noto un documento datato 4 gennaio 2024 che in un paragrafo annullava, senza fornire alcuna spiegazione, il verdetto emesso nel luglio 2023 dalla prima sezione.
Nella stessa giornata è stato messo a morte anche Farhad Salimi, un curdo. La sua richiesta di avere un nuovo giudizio era stata ignorata dalla teocrazia per dieci anni. Quella di Salimi è stata la quarta esecuzione, dal novembre 2023, di un gruppo di sette curdi condannati a morte dieci anni prima in un processo irregolare durato solo pochi minuti e basato su “confessioni” estorte con la tortura. Amnesty International teme che gli altri tre prigionieri del gruppo – Anwar Khezri, Kamran Sheikheh e Khosrow Basharat – possano essere messi a morte in tempi brevi. Fahrad Salimi era strato arrestato invece nel dicembre 2009 nella provincia dell’Azerbaigian occidentale insieme ad altri curdi sunniti. I sette erano stati accusati di appartenenza a “gruppi salafiti”. In una serie di lettere fatte uscire dal carcere avevano denunciato che le loro confessioni erano estorte con la tortura. In particolare, Salimi aveva scritto che aveva ricevuto costanti pressioni per autoincriminarsi e per rinunciare all’avvocato di sua scelta. Nel giugno 2018 la sezione 26 del tribunale rivoluzionario aveva condannato a morte i sette imputati per “corruzione sulla terra”. La Corte suprema aveva annullato il verdetto per mancanza di prove rimandando il caso alla sezione 15 del tribunale rivoluzionario, che aveva emesso una nuova condanna a morte. Entrambi i processi erano stati clamorosamente irregolari: durante le indagini gli imputati non avevano potuto avere colloqui con gli avvocati, questi non avevano potuto prendere la parola durante le udienze. Due condannati a morte – Ghasem Abesteh e Ayoub Karimi – erano stati impiccati nel novembre 2023. Il 3 gennaio 2024 Salimi e altri tre condannati a morte avevano iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l’impiccagione di un terzo coimputato, Davoud Abdollahi, avvenuta il giorno prima. Il 21 gennaio, prova dell’imminente esecuzione, Salimi era stato trasferito nella sezione di isolamento della prigione di Ghezal Hesar, a Karaj, nella provincia dell’Alborz. Gli altri tre prigionieri superstiti – Anwar Khezri, Kamran Sheikheh e Khosrow Basharat – continuano lo sciopero della fame.
Due kamikaze si sono fatti saltare a un chilometro e mezzo e a due chilometri e settecento metri dalla moschea Saheb al-Zaman di Kerman nella quale sono custodite le spoglie del generale dei Pasdaran iraniani Qassem Soleimani, numero uno delle forze speciali “Al Quds”. Le vittime sono almeno 89, i feriti 284.Era il quarto anniversario della morte. Nel gennaio del 2020 l‘alto ufficiale fu ucciso nell’aeroporto di Baghdad da un raid ordinato dall’ex presidente americano Donald Trump. Lo Stato islamico ha fatto sapere attraverso i suoi canali Telegram che due suoi membri hanno “attivato la loro cintura esplosiva” nel bel mezzo di “un grande raduno di apostati”.
Il “Governo degli Stati Uniti aveva fornito all’Iran un avvertimento privato su una minaccia terroristica all’interno dei confini iraniani”, ha detto un anonimo funzionario degli Stati Uniti a condizione di anonimato. ” Forniamo questi avvertimenti anche perché non vogliamo vedere vite innocenti perse in attacchi terroristici”, ha spiegato la fonte. Gli Stati Uniti hanno interrotto i rapporti diplomatici formali con Teheran nel 1980 dopo la rivoluzione che ha portato al potere l’ayatollah Khomeini. La risposta iraniana sarà “forte e distruttiva e nel più breve tempo possibile”, aveva assicurato il ministro dell’Interno Ahmad Vahidi, sottolineando però che le indagini per identificare i colpevoli sono ancora in corso. Vahidi ha anche precisato che la maggior parte delle vittime ha perso la vita nella seconda esplosione.
La figura di Soleimani è stata commemorata anche in Iraq da migliaia di persone che hanno sfilato nella città santa sciita di Najaf. All’aeroporto di Baghdad il primo ministro iracheno Muhammad Sudani ha ricevuto i familiari delle dieci vittime dell’attacco americano. Oltre a Soleimani, quattro erano ufficiali dei Pasdaran e leader di milizie irachene sostenute da Teheran. Anche il capofila degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah a Beirut ha reso omaggio al comandante delle forze “Al Quds” affermando che “i successi di Hamas nella Striscia di Gaza sono dovuti al lavoro fatto per anni da Qassem Soleimani”.
La contestazione interna della teocrazia al potere non si è mai spenta. Alle esequie per la sedicenne Armita Garavand, nel cimitero Behesht Zahra di Teheran, domenica 29 ottobre del 2023 era stata fermata e picchiata duramente l’avvocata e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, 60 anni, madre di Mehraveh e di Nima. Era in congedo temporaneo dal carcere di Evin, la fortezza nella quale sono rinchiusi sistematicamente i nemici del regime. Molti ora sono militanti e attivisti del movimento “Donne, vita e libertà”, la protesta scaturita dall’uccisione di Mahsa Jina Amini, 22 anni, colpita a morte perché una ciocca di capelli le spuntava dal velo islamico, l’hijab. L’ultimo verdetto aveva condannato Nasrin a 33 anni di carcere e a 148 frustate per spionaggio, propaganda contro la teocrazia, incitamento alla prostituzione e alla corruzione e insulti alla Guida del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei.
Il primo ottobre Armita era entrata nella metropolitana della capitale a capo scoperto. Ventotto giorni dopo è spirata. Ai suoi funerali, secondo l’agenzia di stampa semiufficiale “Fars”, Nasrin Sotoudeh non indossava il velo e quindi avrebbe “disturbato la sicurezza mentale della società”. Durante il rito i presenti avevano gridato: “Questo fiore spezzato è un dono alla patria”. «D’ora in poi – aveva scritto in precedenza Sotoudeh – dovremmo proteggere le nostre giovani (dalla polizia) nelle metropolitane, fino a quando non arriverà il momento di un giusto processo ai responsabili e ai mandanti dell’omicidio di Stato”.
Anche Narges Mohammadi si è unita al coro di accuse, scrivendo sui social network: “La verità sulla morte di Armita è stata sepolta sotto un cumulo di inganni e minacce”, il governo “ha coperto il suo crimine”. Fra i personaggi iraniani di spicco che si sono espressi figurano anche i due famosi registi Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof: “Piangiamo Armita, ma, nel frattempo, fissiamo la luce che brilla su questa terra dalla resistenza e dalla ricerca della libertà delle donne e delle ragazze iraniane”.
“Iran Human Rights”, un’organizzazione non governativa guidata e fondata da Mahmood Amiry Moghaddam, ha scritto che “fin dal primo ottobre 2023 le autorità hanno tentato di nascondere la verità trasferendo Armita dalla fermata Shohada della metropolitana all’ospedale Fajir dell’Aeronautica militare. Lì è stato accertato che era in coma. Il due ottobre 2023 le forze di sicurezza hanno arrestato per diverse ore Maryam Lotfi, una giornalista del quotidiano “Sharg” che era andata a cercare di raccogliere informazioni in ospedale. Iran Human Rights ha avuto notizie di minacce contro l’equipe medica che si occupava del caso e di interruzioni delle telecamere a circuito chiuso del luogo di cura. Con la risoluzione S 35/1 Il 24 novembre del 2022 la Commissione dell’Onu per i diritti umani ha istituito una “Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti” sulle violazioni dei diritti umani commesse dalla Repubblica Islamica dell’Iran dall’inizio delle manifestazioni del movimento “Donna, vita, libertà”.
La sedicenne Armita, di origini curde come Mahsa Jina Amini, aveva sfidato le leggi della Repubblica islamica che impongono alle donne di indossare in pubblico il velo, lo hijab, è stata dichiarata morta in ospedale dopo 28 giorni di coma. Il primo ottobre era entrata nella metropolitana di Teheran a capo scoperto. Secondo i testimoni, gli agenti della polizia morale le si sono scagliati contro appena è salita su un convoglio. Nella colluttazione la giovane è stata spinta con violenza e ha sbattuto la testa contro un palo di sostegno. Per il regime invece Armita è svenuta per un calo di pressione ed è caduta. Gli attivisti hanno sostenuto che i filmati sono stati tagliati e hanno chiesto che venissero pubblicate le registrazioni integrali delle telecamere di sicurezza all’interno del treno. Armita, è la loro tesi, è stata un’altra vittima della repressione di Teheran contro le donne che si oppongono al velo.
Il 18 settembre 2023, appena due giorni dopo l’anniversario dell’uccisione di Mahsa Jina Amini, il presidente americano Joe Biden ha deciso di rimpinguare le casse degli ayatollah con sei miliardi dollari, il prezzo del rilascio di cinque cittadini statunitensi. A Teheran torneranno cinque iraniani. “Tutti colpevoli di reati minori” ha tenuto a precisare l’amministrazione di Washington. Si riuniranno ai loro congiunti Siamak Namazi, Morad Tahbaz, Emad Sharghi e altri due connazionali. Tutti avevano la doppia cittadinanza, ma Teheran non riconosce quella statunitense e li considerava cittadini iraniani a tutti gli effetti. Namazi è un imprenditore. Fu condannato nel 2015. Tahbaz, che è anche suddito di Sua Maestà Britannica, è stato accusato di aver “cospirato con gli Usa”. I due, che hanno chiesto e ottenuto l’anonimato, sono una ricercatrice e un altro uomo d’affari. Potranno tornare in Iran Reza Sarhangpour e Kambiz Attar Kashani, entrambi imputati di aver violato le sanzioni imposte alla teocrazia dagli Stati Uniti. Della cinquina che potrà tornare in Iran faranno parte anche Kaveh Lotfolah Afrasiabi, sospettato di essere un agente degli ayatollah, Mehrdad Moein Ansari e Amin Hasanzadeh. Gli ultimi due avrebbero collaborato con il ministero della difesa di Teheran. Namazi ha ringraziato Biden “per aver considerato la vita dei cittadini americani al di sopra della politica”. L’amministrazione del Presidente americano ha spiegato che i fondi, arrivati all’Iran dalla Corea del sud per l’acquisto di petrolio con l’intermediazione del Qatar, potranno essere “usati solo per scopi umanitari”. Mentre decideva lo scambio Biden ha firmato nuove sanzioni a carico dell’ex presidente della teocrazia Mahmud Ahmadinejad e del dicastero dell’Intelligence di Teheran per la sparizione, 17 anni fa, dell’ex agente dello Fbi Bob Levinson.
Tre giorni prima del 13 settembre 2023, anniversario dell’arresto di Mahsa Jina Amini, la teocrazia iraniana aveva chiarito le sue intenzioni sulla ricorrenza. In un ospedale di Karaj, venti chilometri a ovest di Teheran, era morto Hamed Bagheri. Invitava la gente a scendere in piazza. Gli agenti gli hanno sparato quattro proiettili. La versione ufficiale è che “deteneva armi da taglio”. La fonte della notizia è Fereshteh Rezaifar, un’attivista del collettivo “Donna, vita, libertà” di Roma.
La mattina del 16 settembre i Pasdaran della Rivoluzione hanno arrestato sulla soglia di casa a Saqqez Amjad Amini, il padre di Mahsa Jina. Secondo l’organizzazione non governativa “Iran Human Rights” Amjad Amini è stato rilasciato “dopo poche ore”. Fereshteh Rezaifar, un’attivista del collettivo “Donna, vita, libertà” di Roma, ha aggiunto altri particolari: “In settimana era già stato convocato quattro volte dalla polizia, Gli hanno ordinato di annullare la cerimonia per la memoria di Mahsa Jina minacciando di arrestare anche Kiarash, l’altro figlio. Ma la famiglia non cede”. Le forze di sicurezza hanno bloccato l’accesso al cimitero di Aichi, il luogo nel quale è sepolta Mahsa Jina. Nel Kurdistan iraniano la polizia ha chiesto ai cittadini di non manifestare. Se non obbediranno, ha assicurato, saranno affrontati con armi da fuoco. Non erano parole al vento. Fardin Jafari si era avvicinato al camposanto di Aichi ed è stato colpito dagli agenti. E’ stato ricoverato in ospedale in gravi condizioni.
Nella capitale la polizia ha sparato contro i dimostranti vicino all’Università di Teheran e nella centrale piazza Azadi. Le forze dell’ordine hanno chiuso gli accessi ai cimiteri nei quali sono sepolti i caduti dopo la morte di Mahsa Amini. Gli iscritti alle Università Beheshti, Elm-o-Sanat e Amir Kabir hanno affidato a comunicati i loro no alla teocrazia. Da diversi cavalcavia penzolano striscioni che ricordano la fine di Mahsa Jina e in molti quartieri sui muri delle case sono apparse scritte di protesta. Sette detenute nel carcere di massima di sicurezza di Evin hanno bruciato il loro velo e tenuto un sit in gridando “donna. Vita e libertà”. Le prigioniere hanno voluto rendere pubblici i loro nomi. Sono Narges Mohammadi, Sepideh Gholian, Azadeh Abedini, Golrokh Iraee, Shakila Monfared, Mahboubeh Rezai e Vida Rabbani. Gli agenti hanno imbrattato con la vernice nera il sepolcro di Nina Shakarami, 16 anni, morta durante le manifestazioni del 2022 a Teheran . L’agenzia di attivisti per i diritti umani “Hrana” ha diffuso i numeri raccapriccianti della repressione nell’ultimo anno: 551 persone hanno perso la vita nelle proteste, tra i quali 68 minorenni. Gli arrestati sono circa 20 mila. Sette sono stati impiccati.
il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato nuove sanzioni che prendono di mira 29 persone e organizzazioni. Diciotto sono Pasdaran, e agenti delle forze dell’ordine. Uno dei destinatari é il capo dei penitenziari iraniani. Secondo l’agenzia di stampa “Nova”, sono stati sanzionati Alireza Abedinejad, amministratore delegato di “Douran Software Technologies”, e i media controllati dallo stato “Press Tv“, “Tasnim News Agency” e “Fars News”. Il decimo pacchetto di restrizioni dell’Unione Europea riguarderà invece il vice comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche nel “Quartier generale della sicurezza centrale dell’Imam Ali”, i comandanti della polizia delle province di Mazandaran e di Fars, il direttore della prigione di Kachui, le carceri di Sanandaj, Zahedan e Esfahan, l’agenzia di stampa dei Pasdaran “Tasnim News” e il Consiglio Supremo del Cyberspazio.
Fereshteh Rezaifar ha dichiarato che è stata imprigionata anche la madre di Kian Pirfalak, il bimbo di undici anni che fu ucciso nell’assalto al mercato di Izeh, capoluogo del Khūzestān. Il governo accusò l’Isis, ma per i militanti di “Donna, Vita e Libertà” furono gli agenti ad aprire il fuoco. “Di recente è stato ammazzato anche il cugino”, rincara Rezaifar. Le manette sono scattate ai polsi del padre di Mohammad Mehdi Karami, il 21enne giustiziato a gennaio per aver protestato a Karaj per la morte di Mahsa. Il genitore a dicembre denunciò che l’avvocato d’ufficio assegnato dal tribunale a pochi giorni dall’impiccagione di Karami ancora non aveva risposto alle sue chiamate e non stava seguendo il caso. Rezaifar non fa sconti neppure ai magistrati: “Nei processi spesso contestano reati mai commessi”. I parlamentari remano nella direzione indicata dagli ayatollah. “E’ di questi giorni – riferisce l’attivista – la legge che prevede fino a 10 anni di reclusione per le donne che non indossano il velo in pubblico. E’stato calcolato che se venisse applicata, la polizia morale – che è stata ripristinata, dopo una momentanea sospensione – dovrebbe arrestare circa 6mila persone al giorno”.
L’imam sunnita della moschea di Zahedan, capoluogo della provincia sudorientale del Sistan Balucistan, ha ricordato, durante la preghiera di venerdì 15 settembre 2023, l’ondata di proteste per l’uccisione di Mahsa Jina Amini. Il suo sermone è stato censurato con un blocco temporaneo di internet, ma dopo la preghiera almeno un centinaio di persone ha marciato per le strade gridando “non dimenticheremo il massacro di Zahedan”, il “venerdì di sangue”. Il 30 settembre del 2022 divamparono in città proteste contro il governo centrale che portarono alla morte di 4 agenti e di un centinaio di manifestanti. Le porte del carcere si sono aperte anche per Armin Rostami, il fratello di Aida, la dottoressa uccisa a Teheran in dicembre perché si ostinava a curare i feriti delle dimostrazioni.
Nella capitale da diversi cavalcavia penzolano striscioni che ricordano la fine di Mahsa Jina e in molti quartieri sui muri delle case sono apparse scritte di protesta contro la teocrazia degli ayatollah. Nel Kurdistan iraniano la polizia ha chiesto ai cittadini di non manifestare minacciando di affrontarli con armi da fuoco. A Saqqez, il luogo di origine di Mahsa Jina Amini, gli alberghi negano le stanze a chi viene da fuori città. La tomba della giovane e il padre Amjad sono sottoposti a una vigilanza continua con le telecamere. Un altro padre per il quale sono scattate le manette è il genitore di Mohammad Mahdi Karami, impiccato in gennaio. La stessa sorte è toccata alla sorella e al marito di Shirin Alizadeh, uccisa l’anno scorso in ottobre.
Il 20 luglio del 2023 la polizia religiosa era tornata sulle strade iraniane per registrare e arrestare le donne che non indossano correttamente il velo obbligatorio per legge dal 1979. Il compito di annunciare la notizia è stato affidato a Saeed Montazer al-Mahdi, capo della polizia del Paese. La decisione sarebbe stata adottata “su richiesta della popolazione e delle istituzioni per garantire la sicurezza pubblica e le fondamenta della famiglia”. Il giornale “Iran International”, rilanciato dall’attivista Masih Alinejad che ha un seguito di quasi 9 milioni di followers, ha pubblicato il video di una ragazza a capo scoperto braccata da una donna che indossa una tunica lunga fino ai piedi. L’anziana cerca di trascinarla verso una camionetta bianca, del tutto simile a quella sulla quale fu caricata Mahsa Jina Amini il 13 settembre del 2022. Nonostante le telecamere a riconoscimento facciale, le multe e gli arresti, la protesta è continuata anche con stratagemmi molto creativi. L’ultimo sono gli ululati notturni dalle terrazze o dalle case. Gli iraniani si sdraiano sul pavimento dei balconi o sotto le finestre delle loro abitazioni di notte e ululano. I paramilitari basiji hanno in dotazione termocamere che sono in grado di localizzare gli individui anche attraverso i muri. Sdraiarsi per terra è un tentativo un po’ artigianale di non essere facilmente localizzati.
l 29 maggio del 2023 era cominciato a Teheran il processo a porte chiuse alla giornalista iraniana Elaheh Mohammadi, 36 anni, arrestata dopo che aveva seguito a Saqqez il funerale di Mahsa Amini. Elaheh Mohammadi lavora per il quotidiano riformista “Ham Mihan” ed è comparsa davanti alla sezione numero 15 del “Tribunale rivoluzionario” della capitale. La reporter è accusata di “collaborazione con il governo ostile degli Stati Uniti, collusione contro la sicurezza nazionale e propaganda contro il sistema”, accuse che potrebbero comportare la pena di morte in caso di condanna.
Il giorno dopo è stata processata anche la fotoreporter Niloufar Hamedi, dipendente del giornale “Shargh”, un altro organo di stampa critico nei confronti degli ayatollah, finita in cella per un reportage dall’ospedale nel quale era stata ricoverata Mahsa Amini dopo essere stata fermata. La giovane era in coma e intubata. Qualche giorno dopo la reporter pubblicò anche una foto dei genitori di Mahsa che si abbracciavano in un corridoio della struttura sanitaria dopo aver saputo che la figlia era morta. L’accusa della quale deve rispondere è “propaganda contro il sistema” e “collusione contro la sicurezza nazionale”. Secondo i familiari, le due giornaliste hanno potuto incontrare i loro avvocati solo domenica 28 maggio.
Iran Human Rights ha pubblicato la notizia che l’8 maggio del 2023 sono stati impiccati due uomini condannati per blasfemia. Il 6 maggio è stato giustiziato il dissidente Farajollah Habib Chaab, un cittadino svedese di origini iraniane accusato di un attentato dinamitardo che nel 2018 costò la vita a 25 persone fra soldati e civili durante una parata militare ad Ahwaz, nella provincia del Khūzestān. Stoccolma ha convocato l’ambasciatore della teocrazia e ha condannato la “punizione inumana e irreversibile”. Chaab, 50 anni, noto anche come Habib Asyud, dopo aver vissuto per dieci anni in Svezia fu rapito da agenti iraniani in Turchia nel 2020 e portato in Iran. Un mese dopo la Tv di stato “Irib” mandò in onda un video nel quale Chaab ammetteva di essere responsabile di azioni terroristiche e di aver collaborato con gli 007 sauditi. Il 21 marzo la Corte suprema del regime degli ayatollah ha confermato la condanna a morte. In gennaio è stato condotto al patibolo il britannico-iraniano Alireza Akbari, 61 anni, condannato per spionaggio per conto del Regno Unito. Una circostanza che Londra ha sempre negato. In un messaggio audio a “Bbc Persian” Akbari aveva affermato di essere stato torturato e costretto a confessare davanti alla telecamera crimini che non aveva commesso.
Le note attrici Baran Kosari. 37 anni, e Shaghayegh Dehghan, 44 anni, sono finite nel mirino delle autorità. Kosari sarebbe colpevole di aver partecipato a un funerale a capo scoperto. Dehghan non avrebbe indossato il velo islamico, l’hijab, in un bar. Nelle scorse settimane sono state denunciate per la stessa violazione anche le attrici Katayoun Riahi, Pantea Bahram, Afsaneh Baygan e Fatemeh Motamed-Aria. In aprile le autorità della Repubblica Islamica dell’Iran hanno affermato che avrebbero cominciato a usare nuove tecnologie per individuare le donne che violano la legge sul velo negli spazi pubblici.
Il 21 novembre del 2022 in una conferenza stampa Ehsan Hajsafi, 32 anni, capitano della nazionale di calcio iraniana e difensore dell’Aek di Atene, aveva annunciato che la sua squadra avrebbe espresso il suo dissenso contro il regime degli ayatollah. Qualche giorno prima la nota attrice Katayoun Riahi, 60 anni, era finita in cella per fatto “post provocatori sui social e su altri media”. In settembre aveva rilasciato un’intervista all’ “Iran International tv”, un’emittente con sede al Londra senza indossare il velo.
Nasrin Ghadri, 35 anni, studentessa dottoranda in filosofia a Teheran, era morta sabato 5 novembre come Mahsa Amini. Durante le manifestazioni del 4 novembre agenti delle forze di sicurezza l’hanno colpita alla testa con un manganello. Lunedì 7 novembre sono scesi in piazza gli abitanti di Marivan, la sua città di origine nel Kurdistan iraniano. I dimostranti hanno gridato “Morte a Khamenei (la guida suprema del Paese)”, hanno bloccato diverse strade e hanno accusato il governo di aver organizzato, alle prime luci del giorno, una frettolosa sepoltura della giovane. Gli agenti hanno reagito, come al solito, sparando sulla folla e ferendo 35 dimostranti. Il padre, come accadde per Mahsa Amini, sarebbe stato costretto a dichiarare pubblicamente che la figlia è deceduta per “intossicazione” o per “una malattia”. Secondo l’organizzazione non governativa “Iran Human Rights” venerdì 4 novembre gli studenti maschi dell’Università di Babol, nel nord del Paese e vicina al Mar Caspio, nella loro mensa hanno rimosso la barriera di separazione dalle colleghe. Nella stessa giornata nella città di Kash 16 dimostranti sono stati fulminati dalla polizia degli ayatollah.
Il regime teocratico continua a chiudersi a riccio. Duecentoventisette parlamentari su duecentonovanta hanno chiesto ai leader del regime e ai magistrati di applicare la pena di morte contro i “mohareb” (nemici di Dio). “Chiediamo al governo – hanno scritto – di affrontare con fermezza gli autori di questi crimini e tutti coloro che hanno incitato le rivolte, tra cui alcuni politici”. Le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno fermato tre squadre affiliate al gruppo dissidente Mojahedin-e-Khalq Organization (Mko), una compagine che la teocrazia accusa di terrorismo. Un comunicato citato dall’agenzia di stampa semiufficiale “Fars” attribuisce agli arrestati l’intento di condurre azioni di sabotaggio e attentati nelle province del Khūzestān, di Fars e di Isfahan. I Mojahedin progettavano di coinvolgere “rivoltosi” per attaccare lo stato e i centri di sicurezza e di polizia, per distruggere proprietà pubbliche e commettere assassinii. Le autorita’ iraniane hanno arrestato 26 “terroristi takfiri” (miscredenti) sunniti sospettati di essere coinvolti nell’attentato del 26 ottobre al mausoleo di Shah Cheragh a Shiraz, costato la vita ad almeno 13 persone. L’attacco al mausoleo, il sito sciita piu’ sacro nel sud dell’Iran, e’ stato rivendicato dall’Isis, il sedicente Califfato Islamico. L’autore, morto per le ferite riportate durante l’arresto, è stato identificato come Abu Aisha, di nazionalita’ tagika. Il coordinatore della cellula sarebbe un azero. L’afgano Mohammed Ramez Rashidi è sospettato di aver garantito “supporto operativo”.
Un fiume di folla si è riversato nel cimitero di Khorramabad, capoluogo del Lorestan, una provincia dell’Iran occidentale, per la funzione funebre che avrebbe dovuto onorare i 40 giorni dalla scomparsa di Nika Shakarami. Nika è stata dichiarata morta dopo dieci giorni di assoluto silenzio. Le forze di sicurezza hanno accolto i partecipanti al corteo a colpi di arma da fuoco. Nika aveva bruciato il suo velo. Da un certificato risulta che le sono state fatali diverse ferite provocate da un oggetto rigido. Per la Procura di Teheran invece si sarebbe tolta la vita lanciandosi nel vuoto da un edificio in costruzione. A Mahabad le piazze si sono riempite dopo che è stato fulminato un dimostrante. La Prefettura della città è stata incendiata.
Sui social è diventata virale l’immagine della donna dai lunghi capelli sciolti che alza le braccia al cielo stando in piedi sul tetto sul tetto di una vettura (nella foto), un’auto dell’immensa fila diretta al cimitero di Sakkez nel quale è stata sepolta Mahsa Amini, diecimila persone ha dovuto riconoscere perfino l’agenzia di stampa ufficiale “Irna”. Il 30 ottobre si è intensificata la repressione da parte delle forze di sicurezza, in divisa e in borghese, dopo l’avvertimento rivolto ai manifestanti dal comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami che li aveva diffidati dal tornare in strada. Gli studenti della capitale Teheran, di Shiraz, di Babol, di Eslamshahr, di Sari, di Arak, di Qazvin, di Mashhad, di Parand, di Hamedan, di Khorramabad, di Ahvaz, di Zanjan e di Sanandaj hanno promosso nuove iniziative di protesta, durante le quali sono stati scanditi slogan contro la corruzione e la repressione. In alcuni video postati sui social media, si vedono le forze di sicurezza e in borghese sparare agli studenti con armi da fuoco, fucili a pallini e gas lacrimogeni, alla Shomal University di Teheran. A molti studenti è stato vietato l’ingresso negli atenei e nelle strutture annesse. Il 30 ottobre alcuni universitari sono stati aggrediti nei loro dormitori durante la notte con gas lacrimogeni e spari. Elnaz Rekabi, 33 anni, la campionessa di arrampicata libera che aveva partecipato ai campionati asiatici di Seul senza indossare il velo, ha dichiarato in pubblico che le era scivolato. Secondo la “Bbc” in lingua farsi è stata poi confinata agli arresti domiciliari. Il provvedimento sarebbe una forma di pressione sulla giovane perché rilasci una confessione forzata sulla sua presunta colpa. A questa opera di “convincimento” si sarebbe aggiunta la minaccia di porre sotto sequestro beni della sua famiglia per oltre 250 mila euro.
All’inizio del mese di novembre del 2022 due giovani donne erano state stritolate nel tritacarne della repressione. Sono Arnika Gahemmaghami, 17 anni, e la studentessa universitaria Negim Abdolmaleki, 21 anni, che, secondo la sua compagna di stanza, è deceduta dopo essere rientrata nel dormitorio delle iscritte allo stesso ateneo. In entrambi i casi l’agenzia di stampa “Tasnim”, propone ricostruzioni che discolpano le forze di sicurezza. Arnika Gahemmaghami sarebbe caduta da una finestra dopo dieci giorni di cure mediche. Le immagini scattate con i cellulare e condivise da Arnika sui social media nelle quali si vedeva che la giovane veniva colpita al capo da una manganellata sarebbero “il risultato di un attacco informatico al suo telefonino”. Negim Abdolmaleki invece avrebbe bevuto alcool avvelenato.
Nella serata di sabato 15 ottobre del 2022 nella fortezza carceraria di Evin, è divampato un incendio che ha ucciso quattro detenuti. Sarebbero incolumi il regista Jafar Panahi e il leader riformista Mostafa Tajzadeh. Secondo l’agenzia “Irna” le fiamme hanno investito la sezione numero 7 durante scontri fra i carcerati e i secondini. I rivoltosi avrebbero alimentato il fuoco in un deposito di vestiti. Gli ammutinati sono stati separati dagli altri prigionieri. Alcuni testimoni hanno riferito di aver sentito colpi di arma da fuoco e diverse esplosioni. Davanti a Evin si sono radunate decine di familiari. Per le autorità iraniane si “è trattato solo di una rissa tra un certo numero di condannati per reati finanziari e per furto”.
Mahsa Amini, era stata arrestata nella metropolitana della capitale all’uscita “Shahid Haghani” . “La portiamo – hanno detto gli agenti al fratello Kiarash – a fare una lezione di moralità”. E’ morta dopo tre giorni di coma. Il 20 settembre dell’anno scorso avrebbe compiuto 22 anni. Le manifestazioni di protesta erano dilagate in tutto il Paese degli ayatollah, nelle strade, nei bazar, nelle università e nelle stazioni della metropolitana. Quarantuno persone sarebbero state fulminate dalle forze dell’ordine nella sola provincia del Sistan Baluchistan. Protestavano per lo stupro di una giovane di 15 anni abusata dal capo della polizia della città portuale di Chabahar. Nella capitale iraniana è stata fermata anche Donya Rad “colpevole” di non aver indossato il velo mentre sorseggiava un caffè con un’amica, anch’essa a capo scoperto. Il caso è scoppiato dopo la diffusione on-line di una foto del pranzo. Le forze di sicurezza sono intervenute, contattando Donya per chiederle spiegazioni. “Dopo alcune ore senza notizie – ha denunciato la sorella – Donya mi ha detto in una breve telefonata di essere stata trasferita nella prigione di Evin”. Il ministero degli esteri iraniano ha comunicato l’arresto di 9 stranieri provenienti da diversi paesi europei, inclusa l’Italia, con l’accusa di essere coinvolti o di essere stati nei luoghi delle proteste. L’organizzazione curda per i diritti umani Hengaw ha riferito che le forze di sicurezza hanno sparato nella notte fra giovedì 22 e venerdì 23 settembre 2023, con armi semiautomatiche contro i manifestanti a Oshnaviyeh (nel nord-ovest). L’hashtag #MahsaAmini ha raggiunto oltre 3 milioni di citazioni su Twitter, oggi “X“.
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