“Foto e video autentici ripresi con i cellulari danno sostanza a condizioni simili a campi di concentramento in cosiddette prigioni private. Testimoni oculari riferiscono che in una struttura sono avvenute 5 esecuzioni capitali a settimana  –  con preavviso ai destinatari e di venerdì – solo per fare spazio a nuovi migranti”. Le parole fra virgolette sono in un cablogramma inviato a Berlino dall’Ambasciata tedesca in Niger. La sezione italiana di Amnesty International ha lanciato subito l’allarme. “Uccisioni di un numero imprecisato di profughi – riassume il messaggio della rappresentanza germanica a Niamei pubblicato dal quotidiano Die Welt – torture, stupri, deportazioni nel deserto e richiesta di tangenti sono avvenimenti quotidiani”. La segnalazione è stata indirizzata anche alla Cancelleria Federale. La documentazione ha contribuito a indurre Angela Merkel a dichiarare che non è possibile raggiungere con la Libia un’intesa simile a quella con la Turchia che ha congelato il flusso dei profughi attraverso i  Balcani. Non a caso il secondo comma dell’articolo due del memorandum di intesa fra l’Italia e la Libia, recepito nel vertice informale dell’Unione Europea a La Valletta, prevede “l’adeguamento e il finanziamento dei centri di accoglienza già attivi nel rispetto delle norme pertinenti”, utilizzando fondi “disponibili da parte italiana e finanziamenti dell’Unione Europea “. Tradotto dal burocratese significa cercare di rendere meno disumani i campi profughi libici. L’ostacolo più rilevante da superare è che Tripoli garantisca agli inviati delle Nazioni Unite e della Organizzazione Internazionale per le Migrazioni la possibilità di accesso alle sedicenti “prigioni private”. L’intervento dell’Onu e dell’Oim, invocato dai 28 Paesi della Ue riuniti a La Valletta, brilla invece per la sua assenza nel Memorandum fra Italia e Libia. Il testo prevede solo, nella premessa, che i “campi di accoglienza temporanei” nel Paese africano saranno “sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine”, e che si cercherà di sottoscrivere ”accordi in merito”con gli Stati di provenienza oppure di fare pressione perché “accettino i propri cittadini”.

Nell’intesa fra l’Italia e la Libia sono elencati tutti i trattati stipulati fra i due Paesi, compreso quello firmato a Bengasi il 30 agosto del 2008 da Mu’ammar Gheddafi e da Silvio Berlusconi. Conscio dei molti paletti pretesi dai libici, il presidente del consiglio Paolo Gentiloni è stato molto circospetto nei suoi commenti sul Memorandum. “Non ci si può in nessun modo aspettare – ha messo le mani avanti – che all’improvviso la situazione cambi, ma è una finestra di opportunità alla quale l’Italia lavorerà”. “Miracoli non se ne fanno – ha ribadito – ma la riduzione dei migranti illegali è un obiettivo al quale stiamo lavorando. Non ci sono bacchette magiche”.