Gli scarponi di Recep Tayyip Erdoğan sul terreno sono siriani dal passato impresentabile di guerrieri per il jihad, la guerra santa islamica. A Tripoli il presidente turco ha mandato i miliziani dell’  ”Esercito Libero Siriano” che nel dicembre del 2017 si è ribattezzato “Esercito Nazionale Siriano”. Nella prima Legione di questa armata sono confluiti gli uomini in armi di “Ahrar al Sharqiya”, ex qaedisti di “Jabhat al Nusra” e di “Ahrar al Sham” che il 13 ottobre sull’autostrada M 4 hanno ucciso a sangue freddo la regista della diplomazia curda Hevrin Khalaf (nella foto), un “crimine di guerra” secondo le Nazioni Unite.

A Tripoli gli uomini dell’”Esercito Nazionale Siriano” sono stati schierati sul fronte orientale. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (in sigla inglese S.O.H.R.) sarebbero almeno 1000. In campi turchi ne vengono addestrati ora altri 1700. Sono stati reclutati nel cantone di Afrin e in altre aree della Siria settentrionale occupate da Ankara nel corso dell’operazione “Scudo dell’Eufrate”. A tutti sarebbero stati promessi un passaporto turco e uno stipendio di 2000 dollari al mese. In quattordici, secondo S.O.H.R., sono già stati passati per le armi dalle truppe del generale Khalifa Haftar. Alle famiglie è stato detto che sono caduti nella Siria settentrionale. Erano inquadrati nelle divisioni al Mu’tassim e Sultan Murad e nelle brigate Suqur al Shamal e al Hamzat.

Il “Sultano” ha fretta e allunga i tentacoli. Erdoğan ha annunciato che comincerà già nel 2020 le prospezioni nel Mediterraneo alla ricerca di idrocarburi, come è previsto dall’intesa con Fayez al Sarraj, capo del Governo di accordo nazionale riconosciuto dall’Onu e dall’Italia. Il memorandum firmato il 27 novembre definisce i confini marittimi libici e turchi con un corridoio che sfiora l’Isola di Creta. Il patto è stato contestato dalla Grecia (che ha ritirato il suo ambasciatore ad Ankara), da Cipro e dall’Egitto, Paesi che, assieme al Libano e a Israele, rivendicano la sovranità sui ricchi giacimenti sottomarini del Mediterraneo orientale.

Un tesoro energetico che dovrebbe confluire nel gasdotto EastMed contestato dalla grande esclusa, la Turchia. La dichiarazione del capo dello stato turco precisa che Ankara “concederà licenze” e che la nave Oruc Reis comincerà “un’esplorazione sismica”. “Non è più possibile – ha ribadito il presidente – da un punto di vista giuridico fare esplorazioni, perforazioni o far passare un gasdotto in una terra situata tra la linea di demarcazione continentale della Turchia e della Libia senza il loro avallo”. L’Eni, assieme alla Total, è titolare di licenze di prospezione nelle acque di Cipro. Nel febbraio del 2018 una flotta militare di Ankara ha già bloccato le attività di una nave della compagnia italiana. L’episodio si è ripetuto in ottobre.

Nella conferenza stampa sulle attività turche nel 2019 Erdoğan ha ribadito che continuerà il dispiegamento di uomini in armi in Libia al fianco di Al Sarraj. “Manderemo – ha ripetuto – i nostri militari per rafforzare la stabilità del Paese e per mantenere in piedi un governo legittimo”. La politica neottomana del “Sultano” si completa con una nuova rete diplomatica in Iraq, tesa a contrastare l’influenza degli sciiti alleati dell’Iran.

Il presidente turco ha comunicato la riapertura dei consolati di Mosul e di Bassora, ai quali si aggiungeranno entro la fine dell’anno due sedi nuove dello stesso livello a Najaf e a Kirkuk. Il 2020 sarà anche l’anno del primo satellite turco per le comunicazioni, Turksat 6 A, e, prevede il capo dello stato, di una crescita economica pari 5 per cento. La Banca Centrale gli ha già obbedito tagliando i tassi di interesse dal 12 all’ 11 e 25 per cento, nonostante un’inflazione del 12 per cento.