Il Mundial dell’82, sì. Quello di Pablito. Di Cabrini e Zoff. Della pipa di Pertini e di quella di Bearzot.

Io c’ero ma, come si dice, dormivo. Ero nato da poco, ci può stare. Venuto al mondo tra Italia-Argentina e Italia-Brasile. Oppure meglio: tra un ‘Paolo Rossi è bollito! Ma perché lo ha portato!’ e un ‘Pablito! Leggenda! Il salvatore! L’avevo detto io! Pablitooo…’.

Io dormivo, ma più avanti negli anni avrei guardato con sincera ammirazione – lo faccio tuttora -, chi al bancone del bar è ancora in grado di  snocciolare la formazione di Italia-Germania, incasellando i nomi sempre con lo stesso ordine, senza mai saltarne uno. C’è da dire però che, dopo di allora, chi nel 1982 c’è nato ha sviluppato anche una sottesa insofferenza nei confronti di chi ‘Il Mundial? Io c’ero, tutt’altra roba, non come oggi, voi non potete capire’.

E’ una questione generazionale, una bella rogna.

Però tra padri e figli, tra fratelli maggiori e minori, a un certo punto qualcuno deve pur mettere ordine. A farlo sul Mundial ci pensano da dieci anni Andrea Santonastaso e Alessandro Pilloni, coppia mitica e rodata al millimetro, con uno spettacolo divenuto iconico. Si chiama ‘Mundial ’82, la pugna e la pipa‘  e l’ultima volta è stato avvistato ai Giardini Margherita di Bologna, lo scorso 4 settembre, per la rassegna ‘Libri e storie di sport’.

Sul palco solo due persone, eppure lo spettacolo è tutto fuorché statico. Dinamicissimo, piuttosto. Un susseguirsi di battute, una folla di personaggi, una moltitudine di chilometri percorsi dentro e fuori dal campo, tra trasferte in pullman, interviste, camere d’albergo, tifosi assiepati e commissari tecnici da bar.  Immancabili i giornali sportivi, che titolano, si lamentano, danno voti, spronano, esultano: il perfetto condimento per un piatto con cui chiunque, pure digiuno di calcio e di Spagna ’82, possa saziarsi.

Ci si ritrova così presto a ridere, piangere, indignarsi e soffrire d’ansia per il pre-partita. Succede anche se la Storia è già scritta. Anche se il finale si sa già che è lieto. È il miracolo di questo spettacolo, novello sangue di San Gennaro, che da un decennio si ripete di sera in sera in due ore di sacro rituale. Si arriva scettici, poi ci si scalda, si spera, si ulula, si recrimina e si prega, ‘ché il risultato, sai mai, per un qualche piega dello spaziotempo potrebbe cambiare. La passione cresce, insomma, e infine ecco il miracolo: vinciamo il mondiale. Succede ogni volta, perdonerete lo spoiler. È quello il punto in cui l’emozione si scioglie, spuntano le lacrime e magari ci si abbraccia. Come in una foto che immancabile spunta sulla quinta a fine spettacolo. In mezzo c’è Paolino Rossi, quello vero, stretto tra i due attori vestiti esattamente come adesso. Sembra quasi che sia lì, perciò, ma certo che è lì, e c’è sempre stato, sul palco fin dall’inizio tra Pilloni e Santonastaso, e quando il pubblico lo intuisce può partire finalmente un applauso liberatorio.

Poi ne parte un altro, quindi un altro, e un altro ancora, e in un attimo appare chiaro che nessuno vuol più davvero andarsene. Meglio rimanere seduti a godersi l’aria fresca, immobili a cercare di fermare l’emozione di un momento. A cercarla e accarezzarla come se fosse originale. Anche se in fondo è teatro. E’ solo teatro. Manco avessimo vinto un mondiale. Perciò andiamo a casa dai, giusto ancora due minuti. Il tempo che si asciughino le lacrime. Che non è per l’emozione, figurarsi. Sarà colpa di quella brezza che sempre tira sugli spalti del Bernabeu.