Non è un grido di dolore ‘Tevere controcorrente‘ di Marzio G. Mian (2019, Neri Pozza). Nessuna lamentela, soltanto acqua che scorre. Mefitica, certo. Sporca, invecchiata, contornata di spazzatura e disonore, ma pur sempre sacra.

E’ l’acqua del Tevere, il Fiume. Quello di Enea, dei Romani, dei papi e – per un ventennio –  di un romagnolo che, come fece con il resto,  a un certo punto pensò di disporre a piacimento anche della geografia, e ne modificò i confini, trascinando le sorgenti del Tevere nella sua Romagna per consacrare il suo destino al potere capitolino. E già, perché il Tevere questo è, e Mian lo sa decrivere con cura e maestria: un fiume che da millenni è lo scettro del potere eterno, ed è il motivo per cui da sempre si va alla guerra per averlo.

E’ il Tevere la storia di Roma, non i suoi reperti. Un fiume usato, bistrattato e abbandonato eppure da sempre mistico, magico e pure un po’ pauroso. A lui, nei secoli, la Storia si è prostrata e l’uomo che con una mano lo ha sporcato, con l’altra, pentito, ne ha raccolto le gocce per benedirsi e autoassolversi.

Mian lo sa, e a questo guarda pagina dopo pagina, mentre descrive il fiume risalendone lentamente il corso, da Ostia a Verghereto, e riportandone le gesta e le disavventure. Stupisce, nel suo racconto, la quantità di sangue che si è mescolata all’acqua, e il numero di inganni perpetrati alla natura e agli uomini. Duelli, ratti, opere di scavo, spiagge, porticcioli, tribune per feste maestose e per spettacoli truculenti e poi inganni, tantissimi inganni. In mezzo sempre lui, il fiume. Elemento vivo e cruciale, comunque vada, poiché fatto di acque e di persone, di barche che lo attraversano e relitti anche umani che vi navigano perduti, di erba alta, pantegane e reperti preziosi che ancora spuntano dalla sabbia, a testimoniarne una memoria che l’uomo non può estirpare e riscrivere, come fa con tutto il resto.

Tevere controcorrente è poi una storia che inizia dalla fine, e questo sembra ovvio. Parte da Ostia e dai giorni nostri per percorrere a ritroso, e a suon di flashback e reportage, una storia che in fondo ci riguarda tutti. Così si procede, a passo di gambero, e partendo dalla foce, torbida e misteriosa, di pasoliniana memoria, si risale lungo il Lazio e l’Umbria fino in Romagna, dove il fiume sacro ai popoli inizia, finalmente limpido, il suo viaggio ogni mattina.

Difficile annoiarsi, nel frattempo. Perché per ogni metro che l’autore percorre verso la sua meta, spuntano infiniti dai gorghi della corrente, i frammenti di Storia e di storie, di eroi del Mito come Enea e personaggi eroici come Erik, il danese che, da solo con il suo machete, apre una pista ciclabile sulla riva. Per concedere finalmente alla città dei Papi il mare, eterno con eterno, come il Fiume fa ogni giorno, nonostante gli sgambetti dell’uomo. Consigliatissimo.