Racconta Cirri che la radio è porosa e tutto è in grado di attraversarla, che è poligama, leggera, onnipresente: sempre pronta da un secolo a spuntare dove meno te l’aspetti, dalla credenza al supermarket e alla tasca della giacca. Subito pronta a mettersi in sintonia con noi, e assieme a noi col mondo. Questa triangolazione magica, Cirri ce la racconta a modo suo, partendo alla lunga, da Marconi e dal Titanic, fino a giungere alla diretta newyorkese con cui Scott Muni scongiurò una strage, a chiamate Roma treunotreuno, ai telefoni aperti di Caterpillar e le paure dei funzionari Rai: non voglia sfiga che chiami in diretta uno squilibrato e parte uno scandalo!

Ci racconta tutto questo, Massimo Cirri, e mentre leggiamo sembra quasi di vederle, quelle onde di cui ci dice. Onde elettromagnetiche, e mai una volta un termine scientifico è stato così calzante anche per la sfera dell’immaginario. Perché del magnetismo che emana la radio, ancora cento e più anni dopo la sua nascita, potremmo parlare giorni e giorni, e non basterebbero. Meglio lasciar fare a Cirri, che di radio ne ha fatta parecchia e sa il suo mestiere. Psicologo, giornalista, la sua voce ci è di casa da vent’anni, da quando ovvero si è inventato Caterpillar, il format tra i più amati, dissacranti (e per questo serissimi) e longevi della radiofonia. Prima ancora lo conoscevano a Milano, perché la sua voce in realtà viene da quella fucina radiofonica impareggiabile che è Radio Popolare, con Agostoni, a cui una volta Cirri – racconta – ha rubato non volendo l’identità. Ma mica fu colpa sua: è colpa della radio, che ti concentra nella voce e perciò dal vivo ti fa diverso, quasi anonimo ancora oggi, in tempi di social e di dirette streaming.

Cosa ci racconta, dunque, Cirri? Nulla di più o di meno di ciò che si possa dire oggi, dopo così tanto tempo, su la radio, le sue voci e le sue magie. Lo fa partendo da più di un vantaggio. Il primo lo abbiamo detto: l’autore naviga l’etere da tempo e conosce bene il mezzo. La seconda è un assist che gli ha fornito Bompiani, pubblicando il suo “Sette tesi sulla magia della radio” nella collana Passaggi, che è fatta di adorabili libriccini tascabili – ma tascabili davvero – dalle copertine pastello e la carta ruvida. Il terzo è l’argomento, la radio, che forse come pochi riesce ancora a sovrapporre alla perfezione nostalgia e tecnologia, storia e contemporaneo, passione e lucidità, fantasia e precisione.

Cita Mcluhan, Cirri, quando dice che la radio è un mezzo caldo, che apre nuove strade da far percorrere poi ai nuovi media, e che lei stessa, una volta scalzata dal soggiorno e poi dal bagno, è stata capace di accasarsi continuamente altrove: nella stessa tv, in macchina, nel computer e persino nel cellulare. Mediamorfosi, la chiamava Roger Fidler, uno bravo quanto (ma meno fortunato di) McLuhan: ovvero quella capacità che ha un medium di qualità di non sparire, di non morire ma cambiare continuamente pelle e funzioni, anche radicalmente, per adattarsi all’arrivo di un concorrente ricavandosi un suo nuovo spazio. Lo fanno da decenni i giornali e i libri di carta, e così ha fatto anche la radio: si è spostata di fianco quando è passata la televisione, ma poi non è morta, anzi ha rilanciato. Quella ti mostra il mondo? Lei te lo racconta, ma in più ti tiene gli occhi e le mani libere: puoi lavorare, guidare, camminare mentre l’ascolti. Lo spiega Cirri in queste tesi, e ogni tanto si ripete, ma non c’è nulla di male: questa è la radio, verba che volant, repetita che juvant.

Sì, allora: questo libro è consigliatissimo se amiamo la radio, se non l’ascoltiamo mai ma ci affascina la sua storia, se pensavamo di averla lasciata per sempre ma poi, giunti all’ultima pagina, non vediamo l’ora di rimetterci in macchina per andare a lavorare. O per tornare a casa: l’ora di Cirri su Radio Due. Da ascoltare con in tasca il suo libriccino sulla radio e le sue mille magie che, così semplici, elettriche e magnetiche, sfidano ancora la modernità ad antenne spiegate.