crocevia-llosa In Italia si chiama Crocevia (2016, Einaudi editore) l’ultimo romanzo del premio Nobel Mario Vargas Llosa, e in effetti proprio di un crocevia si tratta. Meglio: di un ‘turbinio’, come il nome del capitolo più importante, sul finale, le cui pagine piene di dialoghi diversi ma perfettamente mescolati si candidano a pieno titolo tra i nuovi standard dello stile narrativo. Peccato solo aver perso, in italiano, la fascinazione che di certo il titolo originale aggiunge al tutto: ‘Cinco esquinas’, oltre a significare cinque angoli, crocevia, è anche il punto più caratteristico dei Barrios Altos di Lima, la capitale del Perù, protagonista al pari degli altri personaggi.

Il periodo è quello della dittatura ‘morbida’ di Alberto Fujimori, negli anni ’90. Quello stesso dittatore che, eletto per la prima volta con elezioni democratiche, fu sfidato da destra proprio da Mario Varas Llosa. Ma questo è un particolare reale, e quel che conta invece è la narrazione. Nel crocevia di Cinco esquinas a Lima, si diceva, si incrociano cinque strade così differenti tra loro, poiché provenienti dai punti più lontani e disparati della metropoli. Nella parte ricca e borghese, per esempio, vivono l’ingegner Enrique Cardenas, detto Chique, uno degli industriali più ricchi di tutto il Perù, il suo amico d’infanzia Luciano Casasbellas, uno dei penalisti più importanti del Paese, e le loro rispettive mogli, Marisa e Chabela, che in un giorno di coprifuoco, rimaste bloccate a casa, scoprono inaspettatamente le gioie dell’amore saffico.

E’ questo l’incipit del libro, che lascia poi velocemente spazio ai rivoli più poveri e malfamati della ciudad. Dalle parti dei Cinco Esquinas, abita infatti la Retaquita, che poi vuol dire piccoletta: una giovane e determinata giornalista di gossip a cui il suo spregiudicato direttore Rolando Garro ordina, di volta in volta, di indagare per distruggere di pettegolezzi questo o quell’altro personaggio dello spettacolo. Così fece una volta lui stesso con il comico televisivo Juan Peineta, che per colpa degli scandali orditi da Garro, a un certo punto, smise di lavorare. Da allora vive solo per perseguitare, a modo suo, quel giornalista, scrivendo continue lettere di protesta urbi et orbi per i suoi articoli e servizi.

C’è però uno scandalo grande, grandissimo, in questa storia, che ha in mano Rolando Garro e che riguarda proprio l’ingegner Chique. Un’orgia, l’unica della sua vita, a cui l’industriale non ricordava neppure di aver partecipato, se non fosse per quelle inequivocabili foto in mano a Garro. Se scoppiasse lo scandalo, chiaro, il dramma sarebbe indicibile. Per evitarlo il giornalista non chiede soldi: vuole piuttosto che Cardenas diventi l’editore del suo settimanale. Per vendere ancora più copie e magari per scrollarsi di dosso quella nomea che ha, di essere al soldo del Doctor, la bieca eminenza grigia del potere di Fujimori, che secondo alcuni paga ogni settimana gli stipendi di Garro & co. per ottenere in cambio questo o quell’utile scandalo.

Se sia vero o no, il lettore lo scoprirà percorrendo di corsa le strade che portano al crocevia. Una corsa forsennata e priva di direzione manifesta, fino a comporre la mappa di una Lima immaginifica, assurdamente sudamericana, terribilmente complicata e per questo interessantissima. Il libro è infatti di quelli che incollano, in cui l’ansia e il divertimento dello scoprire cosa accadrà pagina dopo pagina rischia di farci far tardi al lavoro o di tenere accesa la luce del comodino fino a notte fonda. Gli ingredienti sono cinque, come le strade: l’erotismo soffice e mai becero di Marisa e Chabela; il lavoro sbilenco e ad alto rischio del giornalismo di gossip; i nodi e le strade obbligate che attraverso la dittatura portano all’esercizio del potere; poi un giallo che fin da subito tingerà di sangue le pagine del romanzo e i nervi a fior di pelle di chi è minacciato e finisce improvvisamente nel tritacarne.

E nel tritacarne, a un certo punto, per motivi differenti, ci sarà il pienone: l’ingegnere, la Retaquita, Juan Peineta e molti altri. Ma di sicuro loro tre, tra i tanti, sono i personaggi migliori. Le loro storie così diverse per percorsi e lignaggio vanno dritte per conto loro, ma su strade che, presto o tardi, convergono verso i Cinco esquinas, dove tutti inevitabilmente a un certo punto finiscono, alla ricerca ognuno del proprio pezzetto di verità. Verità che sembrerebbe scontata e prevedibile, benché divertente, e che invece prende pagina dopo pagina pieghe incredibili e inattese. Come il gran finale, in grado di riscattare il personaggio su cui, forse, il lettore avrà meno scommesso. Il tutto fa parte del mirabile intreccio ordito da Llosa. Questo romanzo, infatti, pur partendo da ingredienti arcinoti, trabocca di percorsi narrativi inediti, esiti inattesi e squarci improvvisi. Un capolavoro di stile e di trama, come solo un premio Nobel – di quelli veri – saprebbe ordire. Un libro da leggere, sì. Indubbiamente.