LIVORNO – Il problema sono le cose semplici, quelle che riempiono la quotidianità. “Alzarsi la mattina e dire: guarda come piove. Oppure: cosa facciamo da mangiare oggi? Sembrano sciocchezze ma poi quando ti mancano ti accorgi di quanto sono importanti. Sono dieci anni che la mattina mi sveglio e parlo con me stessa”.
Paola Coen Gialli è la vedova del maresciallo luogotenente Enzo Fregosi, caduto a Nassirya. Una donna tutta d’un pezzo che stupisce per la grazia con cui coltiva il dolore più atroce come se fosse un fiore. Tanto da definirsi fortunata.
Dov’era la mattina dell’attentato, signora Paola?
“Fuori con i miei due cani. Mi chiamarono dalla Caserma, quando ho capito sono corsa a Firenze perché mia figlia Allegra, che allora studiava all’Opificio delle Pietre Dure, non sapesse della morte del padre dalla tv. Pietro invece, il primogenito, era già nell’Arma”.
Come si va avanti?
“Cercando un lato consolatorio che ti faccia reagire al dolore. Non voglio essere fraintesa ma se penso a tante famiglie distrutte mi sento davvero fortunata. Perché gli anni che ho vissuto con Enzo li ho vissuti molto serenamente, in buona salute, con due figli sani che hanno avuto la possibilità di conoscere il padre e di imparare da lui tante cose. E poi ho altri motivi di consolazione”.
Per esempio?
“Il rapporto di affetto e di stima con la famiglia di mio marito, a cominciare da mia suocera che oggi ha 92 anni ed è una donna in gamba, molto forte. E la grande amicizia con le altre vedove di Nassirya. Siamo sparse in Italia da Messina a Nizza Monferrato e io potrei essere la mamma di tutte, cerco di consolarle, di smussare gli angoli, mi chiamano Paola la saggia. Vado spesso a trovarle, ci sentiamo per telefono poi ci ritroviamo nelle occasioni ufficiali. A questo proposito vorrei dire una cosa…”.
Prego
“Un grazie di tutto cuore agli italiani perché non c’è una piazza, una caserma, una strada che non ricordi Nassirya. E non dimentico la fila ininterrotta di gente per rendere omaggio ai feretri nella Sala delle Bandiere, nè la folla immensa ai funerali”.
Invece nella sua Livorno quel giorno cantavano e scrivevano sui muri “10,100,1000 Nassirya”: ha provato più dolore o vergogna?
“Mi sono vergognata. So che in questo caso la responsabilità è di un gruppo sparuto di giovani che non hanno niente di meglio da fare, ma i livornesi in generale non provano simpatia per le Forze Armate. Eppure sul territorio ci sono tante divisioni militari con centinaia di uomini che vivono qui, che danno lavoro a tanti. Anche senza scendere nelle questioni politiche o morali, c’è comunque un beneficio economico per tutta la città che andrebbe riconosciuto”.
In questi anni si è sentita abbandonata anche dallo Stato?
“Mai. Ho avuto dallo Stato quello che dovevo avere, niente di più né di meno, e so di poter sempre contare sull’Arma in caso di bisogno. Tanto per capirsi, sul mio terrazzo sventola sempre il tricolore. Certo, resta un punto nero”.
Quale?
“La medaglia d’oro che aspettiamo dal primo anno e che i nostri uomini meriterebbero per tanti motivi: perché con loro è stata colpita una base simbolica, perché erano quelli che stavano in mezzo alla gente, perché sapevano di un attentato e sono rimasti al loro posto. Ma purtroppo questa medaglia, ormai sono sicura, non ce la daranno mai”.
Vi hanno spiegato il motivo?
“La ragione ufficiale è un regio decreto in base al quale l’onorificenza viene riconosciuta solo se ti difendi sparando, ma penso ce ne siano altre che non vogliono dirci perchè questa non sta in piedi. Mio marito era insieme al trincone sul piazzale dove è entrato e poi esploso il camion.: tutti e due polverizzati, non è rimasta nemmeno una briciola…secondo loro come potevano difendersi? Con la baionetta?”.