Crolla il mito del colesterolo buono. "Quando è troppo fa male al cuore"

Congresso dei cardiologi europei smonta le credenze su lipoproteine LDL e HDL. "Oltre certi limiti, anche quelle ad alta densità aumentano i rischi". Finora si riteneva fossero protettive

Foto: ipopba/iStock

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Roma, 25 agosto 2018 - Esiste davvero un colesterolo buono contrapposto a quello cattivo? Uno studio americano presentato al congresso della Società europea di cardiologia (Esc) a Monaco di Baviera insinua il dubbio che un valore elevato di HDL nelle analisi del sangue sia sinonimo di cuore e arterie protette, come si riteneva finora. “Da anni ci ripetiamo che un livello alto di colesterolo HDL ci protegge. Ma i risultati della nostra indagine smentiscono questo luogo comune”, ha dichiarato Marc Allard-Ratick, primo ricercatore della Emory University School of Medicine di Atlanta, Usa. Il suo gruppo ha mostrato una analisi statistica che fa riflettere.

Quando la concentrazione di colesterolo HDL supera i 60 milligrammi per decilitro di sangue, raddoppia il rischio di infarto, attacco cardiaco o morte improvvisa per cause cardiovascolari rispetto a valori di HDL inferiori, compresi tra 41 e 60. L’acronimo HDL indica le lipoproteine ad alta densità, che erano considerate finora un fattore positivo (al contrario del colesterolo LDL, lipoproteine a bassa densità, sempre insidioso) perché le HDL allontanano il colesterolo dal sangue e dallo spessore delle arterie e lo riportano al fegato, da dove viene smaltito. Chi presenta bassi livelli di colesterolo HDL ha un rischio aumentato di andare incontro alla cosiddetta arteriosclerosi, e questo viene dato per assodato. Si riteneva sempre che l'esatto contrario, e cioè un livello elevato di colesterolo HDL, fosse utile per sgrassare il sangue. E invece. 

Lo studio, condotto nell’ambito dell’Emory Cardiovascular Biobank, ha studiato la relazione tra i livelli di colesterolo HDL e il rischio di infarto e morte improvvisa per cause cardiovascolari in 5.965 individui, la maggior parte dei quali aveva una cardiopatia pregressa. L’età media dei partecipanti era di 63 anni e il 35% era di sesso femminile. Le osservazioni sono risultate coerenti anche dopo aver escluso altri fattori di rischio per malattie cardiache quali diabete, fumo, concentrazione di colesterolo “cattivo“ a bassa densità di lipoproteine (LDL), assunzione di alcool, familiarità e profili ormonali.

L'autore, Allard-Ratick, alla luce dei risultati presentati al congresso Esc di cardiologia, ha concluso: “Una cosa è certa: forse il mantra del colesterolo buolo HDL non vale per tutti“. Sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire i meccanismi. Ma perché il colesterolo buono può diventare improvvisamente cattivo? “Sebbene al momento la risposta sia sconosciuta - puntualizza l’esperto - una possibile spiegazione è che la lipoproteina HDL in quantità elevate potrebbe nascondere una disfunzione, insomma, invece di proteggere dalle patologie cardiovascolari finisce per perdere colpi”.

I risultati potrebbero spiegare perché ripetuti trial di farmaci che potenziano le HDL non sono riusciti a ridurre l'incidenza delle malattie cardiovascolari. Abbassare il colesterolo è un terno al lotto nei soggetti a rischio, nei casi in cui il trattamento di prima scelta con le statine non sia ben tollerato o non permette di raggiungere i traguardi raccomandati dalle linee guida. Un elemento chiave nella terapia con statine è costituito dall’insorgenza di effetti collaterali indesiderati. Studi clinici dimostrano che fino al 20% dei pazienti avviati alla terapia con le statine può sviluppare reazioni avverse come mialgie, contrazioni muscolari spastiche improvvise, epatopatie e cefalea, che rendono impossibile la prosecuzione della cura. Quando il medico di medicina generale inizia a prescrivere statine per il colesterolo dovrebbe sempre dare appuntamento a distanza di un mese con le analisi, ma a volte questo accorgimento viene trascurato.