Alzheimer, la scoperta che può rivoluzionare cura e diagnosi

Lo studio guidato da una italiana: l'orgine della malattia è in una piccola area del cervello collegata all'ippocampo

Risonanza magnetica (Foto Paolo Righi/Meridiana Immagini)

Risonanza magnetica (Foto Paolo Righi/Meridiana Immagini)

Roma, 27 marzo 2018 - La scoperta è potenzialmente rivoluzionaria: c'è un collegamento tra il malfunzionamento di una piccola regione del cervello, l'area tegumentale ventrale (VTA) e l'insorgere dell'Alzheimer. Lo dimostra uno studio senza precedenti al mondo, pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease e guidato da una italiana, che potrebbe aprire orizzonti preziosi sulle cause della malattia, utili alla diagnosi precoce e la cura. A spiegare i risultati della ricerca condotta su pazienti è Annalena Venneri dello Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN) in Gran Bretagna, prima autrice. 

"La nostra scoperta indica che se l'area tegmentale-ventrale non produce la corretta quantità di dopamina per l'ippocampo, questo non funziona più in modo efficiente". L'ippocampo è la 'sede' della nostra memoria, la parte del cervello cui si deve la capacità di apprendere e ricordare, ed è quindi compromesso in caso di Alzheimer

Venneri insieme al collega Matteo De Marco hanno eseguito test cognitivi e risonanze magnetiche 'ultrapotenti' su pazienti con Alzheimer, soggetti con declino cognitivo lieve e persone sane. Gli esami hanno fatto emergere una correlazione significativa tra dimensioni e funzioni (capacità di produrre dopamina, 'neurotrasmettitore' fondamentale per il cervello) della VTA con le dimensioni dell'ippocampo e le funzioni cognitive dell'individuo. Più piccola è la VTA, minori risultano le dimensioni dell'ippocampo e la capacità del soggetto di apprendere e ricordare

"L'ippocampo - spiega ancora la Venneri - è associato con la formazione di nuovi ricordi, per questo la scoperta è cruciale per la diagnosi precoce dell' Alzheimer. Il risultato mostra un cambiamento che scatta repentinamente e che può innescare la malattia. Questo è il primo studio al mondo che è riuscito a dimostrare questo collegamento negli esseri umani".