La Cina è in crisi: si ferma la crescita a doppia cifra

IL REGIME CINESE cerca di nascondere in tutti i modi che è in difficoltà su diversi fronti. La propaganda non basta più e allora Pechino sta aumentando l’aggressività verso l’esterno, tentando di mettere la polvere sotto il tappeto. Per capire la situazione si può partire dai dati economici: dopo decenni di crescita a doppia cifra, nel secondo trimestre di quest’anno il Pil cinese è aumentato di solo quattro decimali rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma è calato del 2,6% rispetto ai tre mesi precedenti. La disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli inediti (quasi il 20%) e il target di crescita per il 2022 è del 5,5%, molto più basso degli ultimi decenni e neppure facile da raggiungere.

L’inversione di rotta è stata percepita da mercati e investitori che, dopo aver puntato tutto sulla ’fabbrica del mondo’, ora sono allarmati per diverse ragioni. Prima tra tutte la debolezza delle catene del commercio globale, andato in crisi nella ripartenza post Covid e aggravato dal recente incidente navale nel Canale di Suez. Inoltre, c’è preoccupazione per l’incertezza regolatoria e sul potere assoluto che Pechino mantiene sull’economia, ben al di sopra di qualunque regola o standard internazionale. Questo è accaduto nella gestione della pandemia: dopo aver nascosto l’esplosione, adesso la Cina sta perseguendo la politica ’zero Covid’, Il che vuol dire mandare in completo lockdown intere regioni al comparire di qualche infezione, paralizzando l’economia mentre il resto del mondo è ripartito a pieno regime.

Così la diffidenza internazionale diventa legittima. Cresce anche a causa dell’ ’amicizia illimitata’ tra Pechino e Mosca: Putin ha bisogno di armi e sostegno, mentre i cinesi vorrebbero accaparrarsi a prezzo scontato le materie prime russe, non solo energetiche. Ma non è un’operazione facile, specie di fronte ad un poco accondiscendente atteggiamento americano.

Ma c’è anche una bolla immobiliare da gestire. Esplosa con il crack del colosso Evergrande, che per ora è stata silenziata, ma le banche che hanno fatto credito ai costruttori sono in difficoltà. Qualche istituto ha perfino limitato i prelievi ai correntisti, scatenando manifestazioni di protesta. Per una società sviluppata senza capitali, il debito potrebbe essere una mina pronta ad esplodere, soprattutto se il Paese non tornerà a crescere come prima. E, a guardare la struttura demografica del Dragone, non c’è da scommetterci che lo sviluppo torni ai livelli dei decenni scorsi: la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è infatti di circa un miliardo di persone, ma è destinata a calare dagli anni Trenta del secolo, con la possibilità di ridursi dal 66% all’80% entro fine secolo. Nell’ultimo censimento datato 2020, è scesa sotto la soglia simbolo di 1,4 miliardi di persone. Sono gli effetti nefasti, e a lungo termine, della politica del “figlio unico” rimasta in vigore dal 1979 al 2015.

Pur di aumentare la produttività nonostante una minore forza lavoro disponibile, la scelta di Xi Jingping è stata quella di aumentare ulteriormente i carichi di lavoro, riducendo le tutele. Di questo i cinesi non sono contenti, ovviamente. Come non sono contenti che gli strumenti di tracciamento digitale introdotti per monitorare la diffusione del Covid siano diventati strumenti di controllo di massa. Né sono contenti, specialmente nella classe media, di non poter più viaggiare, né all’estero né internamente al Paese.