Green Hill, condannati 12 animalisti. La Lav: "Non è reato salvare creature indifese"

La Lega antivivisezione si augura che, in appello, si possa ribaltare la sentenza alla luce del fatto che poi l'allevamento di Montichiari è stato chiuso e della condanna dei titolari per uccisione e maltrattamento

Beagle in una foto Ansa

Beagle in una foto Ansa

Roma, 9 novembre 2015 - Si è concluso oggi, presso il Tribunale di Brescia, il processo ai 13 attivisti imputati a vario titolo per furto, rapina, lesioni e resistenza al pubblico ufficiale per aver salvato più di una sessantina di cani beagle dall’allevamento per la vivisezione Green Hill a Montichiari (Brescia)  il 28 aprile 2012, poi posto sotto sequestro per il delitto di maltrattamento ed uccisione di animali il 17 luglio 2012. Il tribunale ha condannato 12 dei 13 animalisti finiti a processo. Le pene vanno da otto a dieci mesi; una sola assoluzione.

La Lav ricorda che i titolari dell’allevamento e il medico veterinario di Green Hill sono stati condannati il 23 gennaio 2015 per i reati di uccisione e maltrattamento e l’allevamento ha poi definitivamente chiuso anche  a seguito dell’approvazione della nuova normativa sulla sperimentazione animale che vieta allevamenti di cani allevati per la sperimentazione. 

"La difesa degli attivisti in questo processo ha contestato fino in fondo che potessero essere ritenuti colpevoli coloro che hanno liberato animali allevati in una struttura in cui è stato successivamente accertato, dallo stesso Tribunale, il maltrattamento e la morte, sottolineando la titolarità in capo all’animale di posizioni giuridiche tutelate dal diritto e l’impossibilità di considerare la vita di un animale al pari di un bene mobile oggetto di furto ed invocando, comunque, la legittima difesa dei ragazzi nell’interesse degli animali", riferisce la nota della Lav.

"Seppur rispettiamo quelle che sono le decisioni dell’autorità giudiziaria, riteniamo che questa sentenza vada a confliggere con il riconoscimento dell’animale quale soggetto, essere senziente e non res, e la conseguenza che gli attivisti coinvolti non hanno assolutamente rubato qualcosa ma piuttosto salvato vite animali da maltrattamenti e uccisioni, come poi confermato successivamente dallo stesso Tribunale di Brescia con la storica sentenza di condanna per l’azienda del 23 gennaio scorso", riferisce ancora il comunicato della Lav. “Per questo auspichiamo che la Corte d’Appello possa valutare diversamente i fatti, alla luce dei successivi accadimenti nella struttura e relative vicende processuali, nonché un intervento legislativo che intervenga a chiarire una volta per tutte che un animale non può essere considerato mera proprietà privata”, afferma la Lav. Per contatti con la nostra redazione: [email protected]