Giovedì 25 Aprile 2024

La vittima dimenticata

VENTIMILA campioni di saliva, un gigantesco sputo per trovare la verità. Lo slip che parla attraverso le macchie. Il sangue dal naso. Il vero protagonista del processo è il Dna. Sparpagliato, strofinato, contaminato. L’elica della vita interroga la morte. Come accade sempre in tutte le aule di giustizia quando le tracce si disperdono e chi sa tace. I dettagli appassionano e accecano, meno si capisce e più gusto c’è a forzare il codice genetico. Quando la tragedia finì per abbattersi su Cogne il buonsenso che sarebbe tanto servito nella prima ora venne sostituito dallo strologare a casaccio della seconda. Passarono sotto i riflettori  per un attimo persino le aquile mangia bambini e i camosci carnivori. Poi venne il luminol, finalmente sdoganato dalla riserva dei telefilm, che solo a pronunciarlo rendeva tutti più intelligenti. La fotografia dell’invisibile mandò in panchina per un po’ la mamma sotto accusa, lo strazio della famiglia e purtroppo anche il bambino ucciso. Samuele rimase incastrato nelle immagini di repertorio dell’infanzia che sempre si assomiglia, surclassato dalle foto dei Ris in tuta da astronauta impegnati a trovare residui ematici e materia cerebrale.    COSÌ accade per Yara Gambirasio, prigioniera di una spaccata professionale e dell’apparecchio ai denti. Risparmiata dal lento e costante declino che affligge i vivi eppure un po’ già sbiadita nel suo ruolo di vittima, non più protagonista della favola triste. Porta il suo nome la sentenza di oggi, e toglie peso ai 13 anni sacri confrontati alla zavorra della pena. Eppure lei non c’è più. Eliot scriveva che «noi moriamo con quelli che muoiono, essi partono e noi li seguiamo». Non tutti, non sempre. Yara è morta e noi siamo qua in un mare di saliva. La scena è occupata dai campioni biologici e dai campioni di immagine. Massimo Bossetti con il doppio fondo a luci rosse, la moglie guerriera sempre in tiro. La piccola morta appare tranquilla e serena, quasi liberata, come se la sua anima fosse lieta di stare al riparo dalla polvere.