Giovedì 25 Aprile 2024

Partecipate, tsunami grillino. Saltano fusioni e poltrone certe

Da Torino a Roma, tremano le ex municipalizzate quotate in Borsa

Virginia Raggi, prima uscita con la fascia tricolore (Ansa)

Virginia Raggi, prima uscita con la fascia tricolore (Ansa)

Roma, 22 giugno 2016 - PUNTO e a capo. Nel risiko delle multiutility, le partecipate comunali che erogano servizi pubblici, il ciclone 5 Stelle rimette tutto in discussione. Azzerando progetti di maxi fusioni, cancellando piani industriali e facendo tremare i vertici. Ieri l’ex sindaco di Torino, Piero Fassino, ha fiutato aria di «epurazione» e non solo fra i dirigenti del Comune ma anche nelle principali controllate. A partire da Francesco Profumo, presidente della Compagnia San Paolo: «Serve cultura politica anche per fare le nomine», ha avvertito.

Ma non basta. La travolgente vittoria di Vittoria Raggi a Roma e di Chiara Appendino a Torino consegna, di fatto, ai sindaci grillini due posizioni chiave nel grande business dei servizi pubblici, un settore che ha spesso potuto contare su posizioni di monopolio ma che si è fortemente aperto al mercato, con l’ingresso di importanti soci privati.

ORA tutto torna in discussione. Anche perché, ad esempio, i grillini considerano l’acqua un bene pubblico, sul quale non si può lucrare. L’esatto contrario di quello che si aspettano gli azionisti delle società quotate. E le antenne sensibili di Piazza Affari hanno avvertito da tempo che il vento è cambiato: la romana Acea ha lasciato sul terreno un altro 5%, la torinese-emiliana Iren è arretrata del 3,5%, la bolognese Hera del 3,2%. Ma che cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi? A Torino, Fassino aveva da tempo fortemente sponsorizzato l’idea di una megafusione fra Hera, Iren e A2A, con l’obiettivo di creare un colosso nel settore.

Obiettivo: gestire energia, acqua e rifiuti in un bacino enorme che copre almeno quattro regioni, spaziando da Torino a Milano, da Genova a Bologna. Tutto bene, allora? No, perché già durante la campagna elettorale la Appendino aveva sbarrato la strada al super colosso dei servizi pubblici. E dall’Emilia Romagna gli esponenti grillini non avevano mai esitato a sparare contro la fusione. Il risultato, a questo punto, è che tutto si fermi e ogni società vada avanti per la sua strada. Mentre proprio ieri il M5S è tornato alla carica sulla questione Iren: la capogruppo alla Camera, Laura Castelli, non ha gradito la risposta del governo sull’interrogazione relativa al debito del Comune di Torino nei confronti della società: «Su Iren non si può dire nulla, c’è il segreto di Stato sul poltronificio del Pd».

ALTA tensione anche in casa Acea. Qui, a rischiare il posto è soprattutto l’amministratore delegato, Alberto Irace. Durante la campagna elettorale Virginia Raggi aveva annunciato che, in caso di vittoria, l’attuale management sarebbe stato mandato a casa. Sarà difficile non mantenere la promessa. Le opzioni sono due: o l’immediata convocazione di un’assemblea straordinaria per il rinnovo dei vertici (una strada già seguita, per la verità, da Ignazio Marino), o una guerra di logoramento in attesa dalla scadenza naturale del cda nel 2017. Irace, per il momento, si è limitato a chiedere un incontro con il suo nuovo azionista di maggioranza. Forte anche del fatto che Acea è una società quotata in Borsa e che un eventuale delisting costerebbe alle casse del Comune 4 miliardi di euro. Una cifra irraggiungibile per le casse sempre più in rosso del Campidoglio. Resta il fatto che uno dei progetti di sviluppo della multiutility romana – trasformare in energia una parte dei rifiuti – potrebbe rimanere al palo: non piace per niente alla Raggi.